Lìberos

I cinque illeggibili di Michela Murgia

Pubblicato il 23-01-2014

aleccaniMichela Murgia si accoda agli spudorati (qualcuno li chiama però coraggiosi) che hanno trovato la forza per dichiararsi sconfitti davanti a capolavori della storia della letteratura amati da tutti. Ecco i cinque libri che l'autrice di Accabadora e Ave Mary non è mai riuscita a finire. La foto a sinistra è il particolare di uno scatto di Alec Cani.


Il ramo d'oro di James Frazer.
Dono di un amico editor, che mi disse “Non puoi non leggerlo: è una pietra miliare dell'antropologia comparativista”. Miliare non lo so, ma una pietra lo era di sicuro.

 

Ritorno a Baraule di Salvatore Niffoi.
La ragione è tutta a pagina 2, dove lei “gridava come una cagna mestruata dal male di vivere”.

 

 

Amore e nostalgia a Bombay di Vikram Chandra.
I miei libri peggiori sono tutti dono di qualcuno. Questo me lo ha dato un amico scrittore direttamente al salone del libro e leggerlo mi ha fatto capire una volta per tutte che io e la Bollywood letteraria non siamo compatibili.

 

La piazza del diamante di Mercè Rodoreda.
È uno dei libri più amati: i miei lettori me lo consigliavano, i miei amici me lo regalavano, il mio intero mondo mi supplicava di leggerlo, che era fondamentale, un capolavoro assoluto. Piangerai, vedrai, mi avevano detto. Non posso negare di aver pianto davvero pensando agli alberi che erano stati sacrificati per stampare in migliaia di copie quella storia insopportabile e melensa.

 

L'ombra del vento di Carlos Luis Zafon.
Altro regalo, stavolta di un estimatore conosciuto su internet. Continuava a dire: “devi, devi, devi leggerlo, perché a me è piaciuto tanto”, manco i gusti letterari fossero comunicanti. Mentre lo leggevo mi sentivo affine più che altro a Dorothy Parker, quando affermava che ci sono libri che non possono essere messi da parte con leggerezza, ma occorre scagliarli forte contro il muro. Immagino sia l'equivalente anglosassone di "tirare a casino".


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