Pubblicato il 17-08-2012
Quali sono i luoghi in cui un lettore, che non sia anche un appassionato di tecnologia, dovrebbe avere occasione di toccare con mano un e-reader, scoprire finalmente di che cosa si parli quando si dice “schermo non retroilluminato“, valutare magari comparando diversi modelli fra loro e scegliere il suo preferito?
Da alcune parti si ipotizza che le biblioteche potrebbero essere uno di quei luoghi. Qualche biblioteca effettivamente sta facendo sperimentazioni in questo senso. Al di là degli scaffali di tecnologia dei centri commerciali e di alcune catene librarie – in cui gli ereader si vedono spesso abbandonati un po’ a se stessi – potrebbe essere questa una possibile soluzione?
Provo in pochi punti a spiegarvi perché – a mio parere – la risposta è no.
O, almeno, quali sono alcuni motivi che rendono estremamente difficile la presenza degli ebook reader nella reale situazione delle biblioteche italiane.
Un avvertimento: per “biblioteche” si allude qui alle biblioteche pubbliche, o civiche, quelle che dovrebbero essere deputate alla formazione continua degli adulti. E’ il mio punto di vista su questa professione, ma è anche la prospettiva più pertinente, se parliamo di largo pubblico e di lettura digitale.
Soldi (banale, ma inutile nasconderlo). Le biblioteche pubbliche dipendono tutte dagli enti locali, a cui i governi hanno notoriamente imposto, negli ultimi anni, tagli radicali. Manca denaro per pagare i bibliotecari strutturati (i pochi dipendenti pubblici sopravvissuti), le cooperative di servizi (ancor meno pagate) che in diversi casi li sostituiscono, i fornitori di beni e di servizi. Per quanto io difenda l’importanza della biblioteca pubblica come istituzione fondamentale di un paese civile, va ammesso che – in questo momento e in questo paese – la maggioranza delle biblioteche pubbliche non ha nemmeno un budget sufficiente per assicurare una raccolta di libri che abbia un senso. Non ci si immagina quale amministratore, anche avendone la volontà, sarebbe in grado di trovare finanziamenti per sostenere un acquisto significativo di ebook reader.
Burocrazia. Nonostante tanti discorsi ufficiali sulla semplificazione e l’efficienza, l’amministrazione pubblica è ancora pesantemente soffocata dagli adempimenti burocratici. Molti generi di operazioni che un’azienda può svolgere con una certa agilità (comprare dove crede, rivendere, cambiare i contratti, cercare sponsor, eccetera) sono illegali, se spostati nell’ambito pubblico. Facciamo l’ipotesi di lavorare per una biblioteca ricca (ipotesi che, come si è detto, non è la norma): volendo ordinare un certo numero di ereader oggi, si dovrebbe probabilmente fare una gara con adempimenti così pesanti che i device arriverebbero in biblioteca quando sono già superati tecnologicamente. Con il non felice risultato di confermare il pregiudizio della biblioteca come luogo di deposito di cose vecchie.
Numeri, ovvero rapporto servizio/lettori. In Italia si pensa spesso alle biblioteche come a istituzioni che servono le necessità di nicchie di popolazione (gli studenti, i forti lettori), anche in considerazione del fatto che i tassi medi di lettura sono più bassi che in altri paesi, per esempio europei. Vero, ma non indiscutibile, e anzi rischioso. Dove si è riusciti ad aprire grandi servizi bibliotecari per il pubblico di massa, l’offerta ha svelato una domanda latente di servizi forte, e fino ad allora quasi totalmente inespressa. Se si prendono in considerazione biblioteche di questo tipo (in fondo perché finanziare con i soldi pubblici servizi per le sole nicchie?), occorre considerare un ordine di prestiti e di presenze in biblioteca di migliaia di unità al giorno. Avere qualche decina di ebook reader da far vedere o da dare a casa in prestito avrebbe un significato puramente simbolico. In nessun modo se ne potrebbe fare un servizio vero e proprio. Le sole complicazioni tecniche da gestire scoraggerebbero il più entusiasta dei bibliotecari digitali: già non si regge il numero di cd che vengono restituiti rotti, i libri mangiati dal cane, eccetera, cose comunque normali e fisiologiche in biblioteche medio-grandi. Ci si può immaginare la gestione di oggetti delicati come gli ebook reader che conosciamo oggi.
Diritti. Come è noto, il digitale vive sotto una legislazione nata per la carta, a cui deve faticosamente adattarsi con risultati spesso controproducenti e paradossali. La biblioteca compra un libro di carta e può darlo in prestito perché la legge le riconosce esplicitamente questo diritto. Ma dato che la legge parla di “esemplari a stampa delle opere”, niente di tutto questo vale per il digitale. Dare in prestito un device non significa dunque nulla per la biblioteca che non abbia preventivamente risolto il problema dell’avere una licenza per dare in prestito l’ebook. Insomma, il device di per sé non risolve nulla dal punto di vista dei servizi che la biblioteca cerca di offrire, e questo parrebbe indicare che se c’è una direzione nella quale lavorare per le biblioteche, non è quella dei device, ma quella dei contenuti, contrattando le migliori condizioni possibili per l’accesso agli ebook da remoto da parte dei propri utenti.
Conoscenze tecniche. In buona misura “i bibliotecari” sono donne di mezza età, se non più anziane, una fascia tipicamente non troppo amante delle nuove tecnologie (mi scuso per la generalizzazione). La formazione professionale – specie se mirata alle tecnologie – è quasi totalmente assente nell’amministrazione pubblica e, se non lo è, la maggior parte degli enti tende a farla al minor costo possibile, con risultati conseguenti. Inutile nascondere che molti bibliotecari non sarebbero oggi in grado di distinguere un tablet da un ereader. Si dirà che i veri professionisti non aspettano certo i corsi di formazione per prepararsi a quello che sarà il futuro prossimo del loro mestiere. Vero, ma con uno stipendio di 1.200 euro al mese non saranno tante le persone attirate verso l’acquisto dell’ultimissimo modello di iPad.
Sperimentazioni e bibliotecari. Consideriamo le esperienze di acquisto e/o prestito di ereader fatte da alcune biblioteche (non a caso, poche) e i risultati che ne sono usciti come riferiti dagli stessi protagonisti. In ottobre se ne è parlato a un seminario dell’Associazione Italiana Biblioteche a Bologna. Una sintesi di quanto è stato detto dai bibliotecari di Cologno Monzese e della biblioteca Delfini di Modena è disponibile su E-BOOK*. Teoria e pratica: esperienze di biblioteche a confronto. Al di là di una fase di sperimentazione temporanea, se pure ricca come nel caso di Cologno, sono gli stessi bibliotecari a denunciare la non sostenibilità del prestito degli ereader come servizio stabile. E’ interessante notare come gli utenti abbiano gradito queste forme di sperimentazione, ma spesso con il puro obiettivo di avere fra le mani più modelli tra i quali fare una scelta per un acquisto a uso privato.
Supporto o contenuto? Un’ultima considerazione più astratta. Acquistare, conservare e prestare dei device in biblioteca assomiglia pericolosamente all’idea – di buon senso, ma fuorviante – che la funzione delle biblioteche sia quella di custodire i libri in quanto oggetti. Prima i libri, adesso i device. Le uniche biblioteche autenticamente dedicate alla custodia dei libri sono le biblioteche nazionali. Tutte le altre si dovrebbero occupare, in modi differenziati a seconda del loro pubblico, di rendere possibile il consumo dei libri. Si potrebbe quindi sostenere che un bravo bibliotecario pubblico dovrebbe essere indifferente ai libri come a ogni altro supporto possibile, essendo il primo a sapere che non si tratta che di meri strumenti. Altrimenti, perché non dare in prestito anche gli occhiali da vista?
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