Lìberos

I cinque illeggibili di Francesco Piccolo

Pubblicato il 27-07-2012

Tìrali a casino ormai è diventato un confessionale ambito. Anche gli autori più timidi o pusillanimi si sono lasciati coinvolgere dall'ebbrezza del lancio e stanno trovando il coraggio di confessare la loro lista nera, privi ormai di complessi e sensi di colpa. Uno che lo ha fatto di sicuro senza il minimo scrupolo è Francesco Piccolo, autore di lungo corso per Feltrinelli, Laterza e Einaudi. Ecco i suoi cinque illeggibili.

"Tifone" di Joseph Conrad: quando nei romanzi cominciano a correre da prua a poppa e viceversa, chiudo il libro e lo lancio lontanissimo.

"Il Maestro e Margherita" di Mikhail Bulgakov: uno di quei libri che per anni ho fatto finta che mi fosse piaciuto, annuendo seriamente come per dire: e che ne parliamo a fare... Ma in verità non ci capivo niente, continuavo a leggere e chiedermi perché non capisco questo libro? E poi l'ho mollato.

"Dieci piccoli indiani" di Agata Christie: perché più non mi faceva capire chi sarebbe stato il superstite, meno mi interessava capirlo. non dico che l'ho mollato a metà, ma sono andato alla fine subito, che è pure peggio.

 



"Emmanuelle" di Emmanuelle Arsan: non riuscivo a cogliere il punto sofisticato dove scattava l'eccitazione. Sapevo che c'era, non lo trovavo, mi innervosivo e pensavo di avere problemi con il sesso, e chissà, forse li avevo.

"Il richiamo della foresta" di Jack London: un cane, l'Alaska, i cercatori d'oro. Tre cose che prese singolarmente non suscitano in me nessun interesse. Figuriamoci tutt'e tre insieme.
 

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