Pubblicato il 03-08-2012
Caro libraio,
sono uno di quegli editori (grandi o piccoli) che crede ancora nei buoni libri, che crede più ai libri che ai numeri, alla diversità che al marketing. Ti conosco da quarant’anni, sia che lavori come direttore o commesso di una libreria di catena sia che tu difenda con le unghie e con i denti la tua piccola bottega. So che hai molto studiato ai corsi su assortimento e rotazione in libreria e che hai visto peggiorare giorno dopo giorno la qualità del lavoro, costretto ad aprire scatoloni di libri brutti e inutili, a perdere tempo prezioso a fare le rese, a pensare a come pagare affitti sempre più alti. So che in questo periodo di crisi ti chiedi ogni giorno se arriverai a fine mese.
Noi editori, che pure siamo strozzati da una brutta congiuntura, dobbiamo aiutarti.
Io lo farò, soprattutto con le piccole librerie migliorando le condizioni economiche. Non sarà facile perché anche noi siamo a secco, ma lo faremo. Da sette anni ho aperto una casa editrice in America, Europa Editions, e ho visto che lì i librai indipendenti si sono organizzati, hanno accresciuto il loro legame con la comunità che li ospita e soprattutto hanno ottenuto migliori condizioni economiche. E ce la stanno facendo: i loro conti sono spesso buoni e ho visto tante belle librerie, una diversa dall’altra come scelta di libri e come proposta di attività culturali. Dobbiamo fare lo stesso anche da noi in Italia. In Francia, con la loro tradizione di uno Stato più funzionante, esiste un prezzo fisso del libro che non permette gli sconti selvaggi e che ha salvato centinaia di librerie ed editori indipendenti. Noi non abbiamo uno Stato così e dobbiamo aiutarci a vicenda.
Però…C’è un però. Non basta avere più organizzazione e più soldi. Bisogna avere una coscienza culturale chiara e una forte volontà di cambiare le cose.
Le librerie (qui devo generalizzare) sono diventate sempre più simili agli autogrill. Appena si entra si è assaliti da un messaggio soverchiante: sconti di ogni tipo. I primi banconi sono occupati da romanzi di basso contenuto culturale, addirittura ridicoli con i loro titoli ammiccanti e le loro copertine volgari. Nella parte “colta” delle librerie dominano pochissimi grandi editori, spesso con offerte a prezzi scontatissimi. In tutto ciò ben poco spazio resta non solo per i libri dei piccoli editori ma per tutti quelli di autori un po’ meno noti anche se pubblicati da editori più grandi.
In una frase: sta sparendo la diversità.
Dopo quarant’anni di lavoro non sono più un ingenuo idealista. Capisco quanto sia difficile sbarcare il lunario e selezionare con criteri di qualità i libri buoni da proporre ai propri clienti. Capisco che questo richiede uno sforzo di personalità. Non essendo possibile ospitare con la stessa visibilità tutta l’enorme produzione libraria, si tratta di scegliere e di scegliere senza subire il pesante condizionamento economico del marketing dei grandi gruppi. Scegliere vuol dire essere soggettivi, sbagliare, prendere posizione. Per farlo bisogna informarsi, leggere, farsi delle opinioni e rischiare.
Si sa che dalle crisi nasce il nuovo. In Italia il nuovo potranno essere tanti supermercati omologati dalla stessa offerta di pochi bestseller, oppure tante librerie, grandi e piccole, ognuna con libri diversi, ognuna una scoperta per i lettori che vi entreranno. Potrà succedere che questi ultimi non trovino il bestseller di turno. Potranno rimediare presto al primo supermercato, ma intanto avranno scoperto nuovi libri, un nuovo gusto, una personalità con cui confrontarsi. Che cos’è la cultura se non questo confronto fra idee e sensibilità diverse?
Sandro Ferri è un editore, fondatore della casa editrice E/O, ha scritto questa lettera al libraio dalle pagine di Repubblica. E i nostri librai come raccolgono la provocazione?
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