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E intanto, mentre non c'eri...

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William M. Thackeray

La Fiera delle Vanità

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 19-10-2014 da Maria Agostina
Aggiornato il 19-10-2014 da Maria Agostina
Disponibile in 2 librerie
Inserito il 19-10-2014 da Maria Agostina
Aggiornato il 19-10-2014 da Maria Agostina
Disponibile in 2 librerie

Introduzione di Riccardo Reim Cura e traduzione di Anna Banti Edizione integrale La Fiera delle Vanità è unanimemente considerato il capolavoro di William Makepeace Thackeray, nonché uno dei più notevoli romanzi dell’Ottocento inglese. Pubblicato a fascicoli mensili tra il 1847 e il 1848 (e subito dopo in volume), ottenne in breve un successo talmente clamoroso da impensierire Charles Dickens, fino allora beniamino incontrastato del pubblico anglosassone. Con straordinaria abilità, Thackeray dipinge un vasto affresco della Londra dei primi anni del secolo, caustico e spietato quanto preciso ed efficace: una Londra rievocata con grande gusto scenografico, sterminato palcoscenico rigurgitante di personaggi corrotti e immorali, stupidi e irresponsabili, perfidi e intriganti, volgari e prepotenti, rappresentati con feroce accanimento nei loro vizi e nelle loro sordide meschinità. William M. Thackeray (Calcutta 1811- Londra 1853) fu il grande rivale di Dickens. Tra i suoi numerosi romanzi, oltre alla Fiera delle Vanità (vera e propria “comédie humaine” londinese), vanno almeno ricordati Le memorie di Barry Lyndon (da cui è stata tratta la celeberrima versione cinematografica di Stanley Kubrick), Pendennis, La storia di Henry Esmond, La famiglia Newcome, I Virginiani.

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Maria Agostina

Vanity Fair, anche se scritto per la sua epoca e zeppo di incomprensibili riferimenti a personaggi del tempo, è contemporaneo, immortale. Thackeray analizza con lucida severità la virtù (l'incorruttibilità di Amelia è superbia) e la reale natura del vizio (Rebecca è vana ma cerca di riunire Amelia e William...)

A parer mio è un trattato filosofico sull'orgine del bene e del male e una demolizione puntuale delle loro sovrastrutture più ingannevoli, che il ricorso al proverbiale humour inglese e all'ironia più pungente rende un capolavoro per tutti.

«Era una casa assai modesta. Il maggiordomo fungeva anche da cameriere per Jos, e non era mai più ubriaco di quanto si convenga a un maggiordomo di piccola famiglia, che abbia un certo riguardo per il vino del suo padrone.»

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Editore: Newton Compton Editori

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 958

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8854140430

ISBN-13: 9788854140431

Data di pubblicazione: 2012

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Introduzione di Riccardo Reim Cura e traduzione di Anna Banti Edizione integrale La Fiera delle Vanità è unanimemente considerato il capolavoro di William Makepeace Thackeray, nonché uno dei più notevoli romanzi dell’Ottocento inglese. Pubblicato a fascicoli mensili tra il 1847 e il 1848 (e subito dopo in volume), ottenne in breve un successo talmente clamoroso da impensierire Charles Dickens, fino allora beniamino incontrastato del pubblico anglosassone. Con straordinaria abilità, Thackeray dipinge un vasto affresco della Londra dei primi anni del secolo, caustico e spietato quanto preciso ed efficace: una Londra rievocata con grande gusto scenografico, sterminato palcoscenico rigurgitante di personaggi corrotti e immorali, stupidi e irresponsabili, perfidi e intriganti, volgari e prepotenti, rappresentati con feroce accanimento nei loro vizi e nelle loro sordide meschinità. William M. Thackeray (Calcutta 1811- Londra 1853) fu il grande rivale di Dickens. Tra i suoi numerosi romanzi, oltre alla Fiera delle Vanità (vera e propria “comédie humaine” londinese), vanno almeno ricordati Le memorie di Barry Lyndon (da cui è stata tratta la celeberrima versione cinematografica di Stanley Kubrick), Pendennis, La storia di Henry Esmond, La famiglia Newcome, I Virginiani.

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Vanity Fair, anche se scritto per la sua epoca e zeppo di incomprensibili riferimenti a personaggi del tempo, è contemporaneo, immortale. Thackeray analizza con lucida severità la virtù (l'incorruttibilità di Amelia è superbia) e la reale natura del vizio (Rebecca è vana ma cerca di riunire Amelia e William...)

A parer mio è un trattato filosofico sull'orgine del bene e del male e una demolizione puntuale delle loro sovrastrutture più ingannevoli, che il ricorso al proverbiale humour inglese e all'ironia più pungente rende un capolavoro per tutti.

«Era una casa assai modesta. Il maggiordomo fungeva anche da cameriere per Jos, e non era mai più ubriaco di quanto si convenga a un maggiordomo di piccola famiglia, che abbia un certo riguardo per il vino del suo padrone.»

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