Il Silmarillion fu iniziato nel 1917, ma la sua elaborazione venne proseguita da Tolkien fino alla morte. “Opera prima” (ma anche “ultima” e di tono assai diverso, ben più elevato delle altre), esso costituisce il repertorio mitico dell’Autore, quello da cui è derivata, direttamente o indirettamente, la filiazione dei suoi racconti, da Lo Hobbit a Il Signore degli Anelli, da Il cacciatore di Draghi ai Racconti di Albero e Foglia. Nella vasta produzione tolkieniana occupa una posizione di primato temporale, ma anche e soprattutto tematica e formale.
Vi si arrano gli eventi della Prima Era; nucleo simbolico della narrazione sono i tre Silmaril, gemme tenute in altissimo conto dagli Elfi, ma concupite anche da Melkor/Morgoth, primo Signore delle Tenebre, perchè contengono la Luce dei due Alberi di Valinor distrutti dall’Avversario. La loro perdita e tentata riconquista costituisce lo schema della vicenda, che si articola in cinque racconti legati come i capitoli di un’antica “storia sacra” e narra la parabola di una caduta dalla “musica degli inizi”, il momento cosmogonico, alla guerra, eroica e disperata, di Elfi e Uomini contro l’Avversario. L’ultimo dei racconti è l’antecedente immediato de Il Signore degli Anelli, sorta di prefazione elaborata nei toni che caratterizzano tutto quel grande “pentateuco” che è Il Silmarillion. Il quale non è un romanzo né una favola, ma forse l’unico tentativo coerente, compiuto in tempi recenti, di costruire un vero e proprio edificio mitico imperniato sulla fondamentale antitesi tra brama di possesso e poteri creativi, tra amore per la bellezza suprema e volontà di dominio, insomma tra “essere” e “avere”: un’antitesi cantata nel linguaggio, sublime e semplice insieme, proprio dell’antico epos. Mai pubblicato vivente Tolkien per la sua qualità di work in progress, Il Silmarillion vede la luce grazie all’opera paziente del figlio Christopher, il quale ha compiuto un attento lavoro di ricerca e collazione cui manoscritti lasciati dal padre.