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Zadie Smith

Denti bianchi

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (2)
Inserito il 08-11-2014 da Valeria Daniele
Aggiornato il 08-11-2014 da Valeria Daniele
Disponibile in 2 librerie
Inserito il 08-11-2014 da Valeria Daniele
Aggiornato il 08-11-2014 da Valeria Daniele
Disponibile in 2 librerie

Protagonisti di questo romanzo sono due grandi amici, l'inglese Archie e il bengalese Samad. In una Londra dove l'estremismo è all'ordine del giorno, i due danno vita a una strana quanto improbabile coppia: Archie ha sempre seguito la corrente, Samad, invece, è un musulmano convinto, che mal sopporta la decadenza della società occidentale. Ad aggravare la già inquieta atmosfera arrivano i Chalfen, agiati intellettuali inglesi carichi di tutti i tic e le illusioni della Generazione dei Fiori. E l'incontro-scontro fra le diverse culture produrrà effetti tragicomici non meno che devastanti.

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Recensioni

stefano

ero anni che giravo intorno al romanzo di Zadie Smith, finalmente l'ho letto grazie a un regalo. all'inizio sono andato avanti con passo sospetto, poi man mano che la lettura proseguiva mi sono innamorato dei vari personaggi. è un romanzo sullo sdradicamento, sulla ricerca del proprio posto di appartenza, se esiste. le radici perdute, da trovare, sono uno degli elementi fondamentali. la scrittura della Smith è molto ricca, le metafore che ha usato mi sono piaciute tantissimo. un romanzo sull'immigrazione, e nonostante i suoi dieci anni, è ancora molto attuale.

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ElisaL

"Voleva l'Uno, ma il mondo è Molti". Il modo in cui Zadie Smith racconta la multiculturalità mi fa venire in mente un enorme Cubo di Rubik. Il colore della pelle è solo una delle tante discriminanti dei piccoli tasselli di plastica. Orientamento sessuale, sesso biologico, religione e patriottismo tempestano le facce del cubo di orde di colori differenti, tante piccole identità che cercano affannosamente di formare una facciata intera per poi tingere l'intero cubo del proprio colore. In cerca di appoggio, comprensione, affermazione. Giamaicani, bengalesi, inglesi, ebrei e irlandesi abitano nella capitale dell'ex impero britannico, e combattono la loro personale battaglia con la madre acquisita. Londra è a volte è un caldo ventre, altre un frigido terreno di guerre e umiliazioni. L'integrazione è ora l'oggetto di un desiderio, ora un maligno demone da respingere per non perdere se stessi. La quarta di copertina individua gli amici Archibald e Samad come protagonisti della storia. In realtà, quasi tutti i personaggi sono a loro modo protagonisti. Lo è Samad, bengalese trapiantato in Inghilterra dopo la seconda guerra mondiale, musulmano rigoroso ma combattuto tra i dettami di Allah e le tentazioni del canto di sirena occidentale (che per l'occasione ha deciso di chiamarsi "Poppy"). Lo è Archibald, inglese per nascita e residenza, indeciso per natura e ancorato alle decisioni altrui o al lancio di una moneta. Lo è Alsana, la giovanissima moglie di Samad, piccola e sottomessa alle decisioni del marito, ma che nasconde un paio di piedi enormi sotto il sari (e una strabiliante abilità nella lotta corpo a corpo). Lo è Clara, la seconda moglie giamaicana di Archie, con un passato da Testimone di Geova per costrizione familiare e una vita di letture davanti. Lo sono Millat e Magid, i figli gemelli di Samad. Lo è Irie, la figlia di Archie e Clara. E lo sono anche Hortense, Ryan, Joshua, la famiglia Chalfen. Un universo di individui attirati come falene da ideologie e convinzioni diametralmente opposte, un'entropia pronta a divenire movimento. Un intrico di fili elettrici su cui l'autrice non manca di gettare un'enorme secchiata d'acqua, generando un corto circuito. Il ruolo di protagonisti che i personaggi condividono nasce dalla decisione della Smith, che li porta tutti - a turno o a gruppi - sul palcoscenico, li posiziona sotto l'abbagliante luce dei riflettori e li descrive con ironia e sagacia. Pagina dopo pagina, la parola "identità" viene pronunciata da molteplici volti: un cubo di Rubik variamente assortito. In questo caotico bestiario umano tutti hanno in comune qualcosa: i denti. Denti bianchi, dalle radici solide o ciondolanti, denti ingombranti e vistosi, denti finti occidentalizzati: simbolo della propria identità, ricercata o respinta, esaltata o nascosta con vergogna. L'immagine dei denti ritorna quando meno te lo aspetti: anche essere fumatore aggiunge un tassello al tuo bisogno di identità, depositando una giallognola patina sulla tua dentatura. La simbologia non è mai ridondante, perché riemerge solo a tratti, come un filo conduttore che gioca a nascondino e qualche volta sbuca dal suo antro nascosto per farsi ammirare e contemplare in relazione agli eventi. Devo dire qualcosa sulla prosa di Zadie Smith? Essenziale e corposa. E' un paradosso, ma c'è una tale ricchezza in queste cinquecento pagine da rimanere esterrefatti. Non aspettatevi i convenevoli delle classiche saghe familiari: il parlato dei nostri personaggi è fortemente imbevuto della loro identità e del loro tempo. Usano "cazzo" come "un contorno di piselli e funghi". Sono plasmati dalla televisione e dal cinema Hollywoodiano, dalle mode degli anni ottanta e dall'appartenenza alle micro-tribù metropolitane. I loro comportamenti sono il risultato della rivoluzione sessuale occidentale, dell'abisso che si è creato tra genitori e figli negli ultimi decenni del '900. Portano addosso il peso del passare del tempo, che porta sempre con sé il suo strascico brillante o oscuro di conseguenze. B E L L O.

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Editore: Mondadori

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 552

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8804595094

ISBN-13: 9788804595090

Data di pubblicazione: 2009

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Protagonisti di questo romanzo sono due grandi amici, l'inglese Archie e il bengalese Samad. In una Londra dove l'estremismo è all'ordine del giorno, i due danno vita a una strana quanto improbabile coppia: Archie ha sempre seguito la corrente, Samad, invece, è un musulmano convinto, che mal sopporta la decadenza della società occidentale. Ad aggravare la già inquieta atmosfera arrivano i Chalfen, agiati intellettuali inglesi carichi di tutti i tic e le illusioni della Generazione dei Fiori. E l'incontro-scontro fra le diverse culture produrrà effetti tragicomici non meno che devastanti.

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stefano

ero anni che giravo intorno al romanzo di Zadie Smith, finalmente l'ho letto grazie a un regalo. all'inizio sono andato avanti con passo sospetto, poi man mano che la lettura proseguiva mi sono innamorato dei vari personaggi. è un romanzo sullo sdradicamento, sulla ricerca del proprio posto di appartenza, se esiste. le radici perdute, da trovare, sono uno degli elementi fondamentali. la scrittura della Smith è molto ricca, le metafore che ha usato mi sono piaciute tantissimo. un romanzo sull'immigrazione, e nonostante i suoi dieci anni, è ancora molto attuale.

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"Voleva l'Uno, ma il mondo è Molti". Il modo in cui Zadie Smith racconta la multiculturalità mi fa venire in mente un enorme Cubo di Rubik. Il colore della pelle è solo una delle tante discriminanti dei piccoli tasselli di plastica. Orientamento sessuale, sesso biologico, religione e patriottismo tempestano le facce del cubo di orde di colori differenti, tante piccole identità che cercano affannosamente di formare una facciata intera per poi tingere l'intero cubo del proprio colore. In cerca di appoggio, comprensione, affermazione. Giamaicani, bengalesi, inglesi, ebrei e irlandesi abitano nella capitale dell'ex impero britannico, e combattono la loro personale battaglia con la madre acquisita. Londra è a volte è un caldo ventre, altre un frigido terreno di guerre e umiliazioni. L'integrazione è ora l'oggetto di un desiderio, ora un maligno demone da respingere per non perdere se stessi. La quarta di copertina individua gli amici Archibald e Samad come protagonisti della storia. In realtà, quasi tutti i personaggi sono a loro modo protagonisti. Lo è Samad, bengalese trapiantato in Inghilterra dopo la seconda guerra mondiale, musulmano rigoroso ma combattuto tra i dettami di Allah e le tentazioni del canto di sirena occidentale (che per l'occasione ha deciso di chiamarsi "Poppy"). Lo è Archibald, inglese per nascita e residenza, indeciso per natura e ancorato alle decisioni altrui o al lancio di una moneta. Lo è Alsana, la giovanissima moglie di Samad, piccola e sottomessa alle decisioni del marito, ma che nasconde un paio di piedi enormi sotto il sari (e una strabiliante abilità nella lotta corpo a corpo). Lo è Clara, la seconda moglie giamaicana di Archie, con un passato da Testimone di Geova per costrizione familiare e una vita di letture davanti. Lo sono Millat e Magid, i figli gemelli di Samad. Lo è Irie, la figlia di Archie e Clara. E lo sono anche Hortense, Ryan, Joshua, la famiglia Chalfen. Un universo di individui attirati come falene da ideologie e convinzioni diametralmente opposte, un'entropia pronta a divenire movimento. Un intrico di fili elettrici su cui l'autrice non manca di gettare un'enorme secchiata d'acqua, generando un corto circuito. Il ruolo di protagonisti che i personaggi condividono nasce dalla decisione della Smith, che li porta tutti - a turno o a gruppi - sul palcoscenico, li posiziona sotto l'abbagliante luce dei riflettori e li descrive con ironia e sagacia. Pagina dopo pagina, la parola "identità" viene pronunciata da molteplici volti: un cubo di Rubik variamente assortito. In questo caotico bestiario umano tutti hanno in comune qualcosa: i denti. Denti bianchi, dalle radici solide o ciondolanti, denti ingombranti e vistosi, denti finti occidentalizzati: simbolo della propria identità, ricercata o respinta, esaltata o nascosta con vergogna. L'immagine dei denti ritorna quando meno te lo aspetti: anche essere fumatore aggiunge un tassello al tuo bisogno di identità, depositando una giallognola patina sulla tua dentatura. La simbologia non è mai ridondante, perché riemerge solo a tratti, come un filo conduttore che gioca a nascondino e qualche volta sbuca dal suo antro nascosto per farsi ammirare e contemplare in relazione agli eventi. Devo dire qualcosa sulla prosa di Zadie Smith? Essenziale e corposa. E' un paradosso, ma c'è una tale ricchezza in queste cinquecento pagine da rimanere esterrefatti. Non aspettatevi i convenevoli delle classiche saghe familiari: il parlato dei nostri personaggi è fortemente imbevuto della loro identità e del loro tempo. Usano "cazzo" come "un contorno di piselli e funghi". Sono plasmati dalla televisione e dal cinema Hollywoodiano, dalle mode degli anni ottanta e dall'appartenenza alle micro-tribù metropolitane. I loro comportamenti sono il risultato della rivoluzione sessuale occidentale, dell'abisso che si è creato tra genitori e figli negli ultimi decenni del '900. Portano addosso il peso del passare del tempo, che porta sempre con sé il suo strascico brillante o oscuro di conseguenze. B E L L O.

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