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Sándor Márai

Le braci

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Recensioni (1)
Inserito il 07-11-2013 da aledem
Aggiornato il 07-11-2013 da aledem
Disponibile in 5 librerie
Inserito il 07-11-2013 da aledem
Aggiornato il 07-11-2013 da aledem
Disponibile in 5 librerie

Dopo quarantun anni, due uomini che da giovani sono stati inseparabili tornano a incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi. Uno ha passato quei decenni in Estremo Oriente, l'altro non si è mosso dalla sua proprietà. Ma entrambi hanno vissuto in attesa di quel momento. Null'altro contava, per loro. Perché condividono un segreto che possiede una forza singolare. Tutto converge verso un "duello senza spade" - e ben più crudele. Tra loro, nell'ombra, il fantasma di una donna. E il lettore sente la tensione salire, riga dopo riga, fino all'insostenibile.

"... un libro straordinario per grandezza d'ispirazione e intensità di stile, da mettere accanto ai pochi libri bellissimi della sua epoca". PIETRO CITATI

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ElisaL

(Fase uno: quando non ero mica sicura che mi fosse piaciuto) Quando chiudi un libro con la faccia distesa tra un "bah" di indifferenza e un "beh" di compromesso, non è mai un buon segnale. Quando il giudizio deve fare ricorso alla struttura del romanzo per strappare un margine di positività alla lettura conclusa, è segno che le parole sono cadute su un terreno forse arido, inadatto a farne germogliare qualcosa. In fin dei conti, il romanzo può avere una struttura d'eccezione, ogni componente può essere calibrata con un'esattezza millimetrica, tale da imprimere sulla copertina il bollino "inaffondabile", eppure può non stregarti. "Forse non l'ho capito", ti dici, ignaro del fatto che questa è solo una timida giustificazione per tacere su di te, sulla tua sensibilità che potrebbe uscire a pezzi dal confronto. C'è sempre questo senso di necessità che grava sulle opere definite capolavori. Eppure non c'è niente di inaffondabile, neppure la terra su cui pestiamo i piedi, nemmeno la nostra voce che grida "inaffondabile" è inaffondabile. Le braci, di te ho apprezzato la teatralità della narrazione, la scelta precisa di gesti e scenografia. I personaggi non compiono mai un gesto per riempire il tempo, lo fanno per caricare le loro mani di significato. Un silenzio vissuto con gli occhi chiusi "come un cieco" quando il personaggio si scontra con un dubbio, la scoperta di un vino fermentato nella propria cantina alla vigilia del ritorno di un amico perso di vista da quarant'anni, l'allestimento di una stanza da pranzo maniacalmente identico a quello di quarant'anni prima, la postura da "uccellino con la testa incavata nel corpo" di una balia ormai novantenne che raramente ha lasciato la casa dove presta servizio ma che conosce meglio di altri i tumulti interiori dei suoi padroni, la battuta di caccia di due amici in un bosco ancora buio. La scelta delle musiche, la direzione dei raggi solari che bussano alle finestre: tutto è sapientemente diretto da un regista fuori campo. Il tema è legato alla lotta tra dionisiaco e apollineo, nelle sue infinite manifestazioni: personalità, appartenenza di classe, scelte di vita. Lo scontro è aperto in senso assoluto, a partire dalla cornice: lo splendore dell'impero asburgico tutto divise, lustrini e valzer deve fare i conti con l'incubo delle guerre mondiali e con il tumulto delle popolazioni che si son stufate di chiedere pietà dal di sotto gli stivali lucidi dell'imperatore. Sulla scena, sono i personaggi a farsi carico delle due armature, a schierarsi in fronti contrapposti in base a quella che loro chiamano "diversità". Il rigido generale tutto onore ed etichetta e l'artista soffocato dal peso dell'uniforme, fratelli e nemici di sangue come il giorno e la notte, capaci di vedersi veramente solo in quel sottile momento che segna il confine tra notte e alba: non è ancora giorno, non è più notte, è una terra di nessuno e le passioni corrono lontane da ogni imposizione. Ci si può finalmente abbracciare solo nel momento di massima bestialità. Dionisiaco e apollineo: che senso ha questa lotta? Chi vince? La risposta sta in una non risposta, in un silenzio, nella perdita di significato di tutti gli oggetti in scena, prima così simbolici e chiacchieroni. Quel teatro costruito in precedenza si accartoccia, si annienta. Al suo posto sorge una nuova scenografia, identica alla precedente, solo più scolorita, priva persino del calore rossastro di un cumulo di braci. Dal simbolismo universale alla vacuità assoluta: è un bel salto. (Fase due: la presa di coscienza) Mentre scrivevo queste righe, mi son resa conto che dentro di me l'idea sull'opera è maturata. Volevo scrivere che non mi ha trasmesso quasi nulla, ma non è vero. Riguardando le parole scritte all'inizio, penso addirittura di aver esagerato con lo scetticismo. Cosa volevo, un libro mordi e fuggi, che ti consegni tutto in mano in un sacchetto striminzito come il maltolto dopo una rapina? No, certo che no. Forse mi aspettavo di avere un'opinione ferma e rigida a fine lettura. Non ho pensato che alcuni libri sono solo trampolini di partenza. E allora, priva di alcun senso di colpa, posso dire chiaramente che la parola d'ordine per questo libro è quella che ricorre spesso nella narrazione: fermentare . Prima di esprimere qualsiasi giudizio, estatico o scoraggiato che sia, cercate di gustarlo per bene e, una volta terminato, aspettate con calma che la composizione si modifichi. Poi assaggiate, distinguete le diverse note, separate il dolce dall'amaro. Ma piano, mi raccomando, a costo di impiegarci quarantun'anni e quarantatré giorni. O forse di più. Io nel mentre aspetto, e le stelline le relego momentaneamente in cantina.

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Editore: Adelphi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 181

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 884592257X

ISBN-13: 9788845922572

Data di pubblicazione: 2008

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"... un libro straordinario per grandezza d'ispirazione e intensità di stile, da mettere accanto ai pochi libri bellissimi della sua epoca". PIETRO CITATI

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(Fase uno: quando non ero mica sicura che mi fosse piaciuto) Quando chiudi un libro con la faccia distesa tra un "bah" di indifferenza e un "beh" di compromesso, non è mai un buon segnale. Quando il giudizio deve fare ricorso alla struttura del romanzo per strappare un margine di positività alla lettura conclusa, è segno che le parole sono cadute su un terreno forse arido, inadatto a farne germogliare qualcosa. In fin dei conti, il romanzo può avere una struttura d'eccezione, ogni componente può essere calibrata con un'esattezza millimetrica, tale da imprimere sulla copertina il bollino "inaffondabile", eppure può non stregarti. "Forse non l'ho capito", ti dici, ignaro del fatto che questa è solo una timida giustificazione per tacere su di te, sulla tua sensibilità che potrebbe uscire a pezzi dal confronto. C'è sempre questo senso di necessità che grava sulle opere definite capolavori. Eppure non c'è niente di inaffondabile, neppure la terra su cui pestiamo i piedi, nemmeno la nostra voce che grida "inaffondabile" è inaffondabile. Le braci, di te ho apprezzato la teatralità della narrazione, la scelta precisa di gesti e scenografia. I personaggi non compiono mai un gesto per riempire il tempo, lo fanno per caricare le loro mani di significato. Un silenzio vissuto con gli occhi chiusi "come un cieco" quando il personaggio si scontra con un dubbio, la scoperta di un vino fermentato nella propria cantina alla vigilia del ritorno di un amico perso di vista da quarant'anni, l'allestimento di una stanza da pranzo maniacalmente identico a quello di quarant'anni prima, la postura da "uccellino con la testa incavata nel corpo" di una balia ormai novantenne che raramente ha lasciato la casa dove presta servizio ma che conosce meglio di altri i tumulti interiori dei suoi padroni, la battuta di caccia di due amici in un bosco ancora buio. La scelta delle musiche, la direzione dei raggi solari che bussano alle finestre: tutto è sapientemente diretto da un regista fuori campo. Il tema è legato alla lotta tra dionisiaco e apollineo, nelle sue infinite manifestazioni: personalità, appartenenza di classe, scelte di vita. Lo scontro è aperto in senso assoluto, a partire dalla cornice: lo splendore dell'impero asburgico tutto divise, lustrini e valzer deve fare i conti con l'incubo delle guerre mondiali e con il tumulto delle popolazioni che si son stufate di chiedere pietà dal di sotto gli stivali lucidi dell'imperatore. Sulla scena, sono i personaggi a farsi carico delle due armature, a schierarsi in fronti contrapposti in base a quella che loro chiamano "diversità". Il rigido generale tutto onore ed etichetta e l'artista soffocato dal peso dell'uniforme, fratelli e nemici di sangue come il giorno e la notte, capaci di vedersi veramente solo in quel sottile momento che segna il confine tra notte e alba: non è ancora giorno, non è più notte, è una terra di nessuno e le passioni corrono lontane da ogni imposizione. Ci si può finalmente abbracciare solo nel momento di massima bestialità. Dionisiaco e apollineo: che senso ha questa lotta? Chi vince? La risposta sta in una non risposta, in un silenzio, nella perdita di significato di tutti gli oggetti in scena, prima così simbolici e chiacchieroni. Quel teatro costruito in precedenza si accartoccia, si annienta. Al suo posto sorge una nuova scenografia, identica alla precedente, solo più scolorita, priva persino del calore rossastro di un cumulo di braci. Dal simbolismo universale alla vacuità assoluta: è un bel salto. (Fase due: la presa di coscienza) Mentre scrivevo queste righe, mi son resa conto che dentro di me l'idea sull'opera è maturata. Volevo scrivere che non mi ha trasmesso quasi nulla, ma non è vero. Riguardando le parole scritte all'inizio, penso addirittura di aver esagerato con lo scetticismo. Cosa volevo, un libro mordi e fuggi, che ti consegni tutto in mano in un sacchetto striminzito come il maltolto dopo una rapina? No, certo che no. Forse mi aspettavo di avere un'opinione ferma e rigida a fine lettura. Non ho pensato che alcuni libri sono solo trampolini di partenza. E allora, priva di alcun senso di colpa, posso dire chiaramente che la parola d'ordine per questo libro è quella che ricorre spesso nella narrazione: fermentare . Prima di esprimere qualsiasi giudizio, estatico o scoraggiato che sia, cercate di gustarlo per bene e, una volta terminato, aspettate con calma che la composizione si modifichi. Poi assaggiate, distinguete le diverse note, separate il dolce dall'amaro. Ma piano, mi raccomando, a costo di impiegarci quarantun'anni e quarantatré giorni. O forse di più. Io nel mentre aspetto, e le stelline le relego momentaneamente in cantina.

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