Pubblicato nel 1932, questo libro largamente autobiografico - libro dello sradicamento, della rivolta, del sarcasmo, dell'irrisione violenta e acuminata - è ormai considerato un fondamentale "classico" della narrativa europea del Novecento. Il clamore e lo scandalo che lo accolsero, con l'aura di "maledettismo" presto sorta a circonfondere tanto il protagonista quanto l'autore, sono facilmente riconducibili alla disturbante carica di verità che attraversa per intero il Viaggio, e che mette impietosamente a nudo sia le miserie dell'individuo sia quelle ben più gravi e profonde della società in cui si muove.
I vagabondaggi del medico Bardamu dagli scenari della prima guerra mondiale all'Africa coloniale, dall'America del fordismo alla Parigi dei poveri, disegnano un quadro complessivo in cui qualsiasi valore morale ha perso tenuta, e in cui drammaticamente più labile e vaga si è fatta la distinzione fra il bene e il male: al duro sfruttamento dell'uomo sull'uomo nelle colonie francesi corrisponde quello del capitalismo americano, alla povertà dilagante degli uni fa eco quella degli altri, in un universo in cui la legge della sopravvivenza impone scelte spesso disgustose, talora aberranti.
Eppure da questo tragico materiale Céline sa estrarre di frequente situazioni di esilarante comicità, in una mescolanza di dolore e riso superbamente sorretta da una scrittura assolutamente originale: una scrittura plasmata sul parlato, scandita da un ritmo incalzante e sincopato, in cui i termini gergali, il turpiloquio, l'elementarità e la distorsione sintattica sanno di continuo aprirsi a sprazzi di "sublime" ogni volta del tutto stupefacenti. Un vero e proprio "miracolo" espressivo, marchio inconfondibile della grandissima letteratura.