L’11 settembre 2001 è cominciata una guerra che non ha precedenti o paragoni nella storia dell’uomo. Terza guerra mondiale? Prima guerra del nuovo millennio? Definizioni inadeguate, fuorvianti. La guerra che comincia e che non è destinata a finire in questa generazione è lo stadio finale di quella "postmodernità" in cui abbiamo creduto di vivere. Questa guerra – che si proclama, e non è, "guerra contro il terrorismo internazionale" – è l’ultima fase della globalizzazione americana, l’ultima sua conseguenza, lo sbocco inesorabile, come inesorabile è questa globalizzazione. La nuova, inedita guerra planetaria non è una lotta per il controllo delle risorse; non è neppure un’operazione per l’estensione del controllo geopolitico. Queste erano caratteristiche delle guerre precedenti, condotte da potenze economiche e militari in lotta tra di loro. Adesso non ci sono più potenze, poiché ce n’è una sola. Siamo entrati nell’era dell’Impero degli Stati Uniti d’America. Questa è una guerra per il dominio mondiale. Dopo l’Afghanistan sarà la volta dell’Iraq, poi degli altri stati "canaglia", poi dei "nemici" che via via verranno individuati in ogni parte del mondo: stati, organizzazioni, dirigenti politici riottosi, singoli oppositori eccetera. C’è però un interrogativo aperto e angoscioso: questa guerra si può anche perdere.
Nulla ci assicura che l’Occidente possa vincerla. Nulla autorizza a ritenere che i cinque sesti dell’umanità si lasceranno convincere ad accettare i modelli di vita occidentali. Nulla autorizza a ritenere che accetteranno supinamente la miseria in cui vivono.