Registro di classe è prima di tutto il diario di un anno di vita. Giorno dopo giorno, prende corpo una stagione passata in due classi di liceo nella periferia romana.
È un breviario rivolto agli studenti, ai genitori, alla società civile, ma che lo scrittore destina soprattutto a se stesso. In questo libro Onofri mette in gioco non tanto il suo ruolo di professore, ma la sua vita intera e in particolare quell'adolescenza che lo ha visto cosí simile agli studenti proletari con cui condivide una sorta di cromosoma interiore. E la ricerca di un modo per comunicare con quei ragazzi, con la loro timidezza e afasia, sfrontataggine e indolenza, è anche una ricerca nelle radici della propria educazione che lo ha portato da ragazzo ad amare un'idea della vita cosi diversa da quella condivisa con i suoi compagni di allora.
Le pagine di questo Registro lasciano al margine ogni riferimento alla letteratura scolastica tradizionale e vanno dritte al cuore dei problemi: dai dieci giovanissimi suicidi in tre giorni, alla speranza di affidare alla pillola della timidezza il controllo di un'età ambigua e acerba, all'indifferenza dei colleghi appartenenti a una generazione di "genitori emancipati che con i figli parlano di tutto, ma proprio di tutto". E intorno una scuola che non sembra assicurare a nessuno, neppure ai professori, "la libertà necessaria all'espressione delle differenze", e che non sa ricordare a Marco che quella sua capigliatura da rapper, i calzoni larghi, le scarpacce grosse e pesanti, sono stato adottati, molto prima di lui, nei ghetti di Los Angeles da quegli stessi "negri" contro cui oggi Marco si scaglia.