Nello scenario lussureggiante di una primavera italiana, l’incontro di Lucy Honeychurch, timorata signorina della buona borghesia inglese in viaggio in Italia, con George Emerson, giovane schietto e anticonformista, infrange le norme del perbenismo imperante e suscita l’indignazione di una società ostinatamente attaccata ai propri pregiudizi e alle convenzioni tacitamente accettate. Ma il richiamo alla vita e all’amore, propiziato dalla trasfigurata campagna toscana, è in Lucy troppo forte perché la morale del suo tempo possa averne ragione. In questo terzo romanzo di Forster (il primo, in realtà, che egli concepì), l’Italia non è una convenzionale meta turistica, ma il simbolico luogo di una vitalità negata, di uno spirito mediterraneo che si oppone alla morale inaridita della borghesia vittoriana. Ma da quieto rivoluzionario, Forster non urla i suoi messaggi. Ed è proprio questo a rendere così efficace un romanzo che è al tempo stesso opera a tesi e raffinata storia sentimentale.
«Era bello svegliarsi a Firenze, aprire gli occhi su una camera nuda e luminosa con un pavimento di piastrelle rosse che sembravano pulite anche se non lo erano, con un soffitto dipinto in cui dei grifoni rosa e degli amorini azzurri si trastullavano in una foresta di violini e fagotti gialli. Era bello anche spalancare le finestre pungendosi le dita con quei chiavistelli poco familiari…»