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Huckelberry Finn
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Huckelberry Finn
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Vladimir Nabokov

Lolita

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (2)
Inserito il 02-09-2014 da aledem
Aggiornato il 02-09-2014 da aledem
Disponibile in 17 librerie
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ElisaL

Mi asciugai la faccia e le dita. Lei sorrise al cadeau. Esultava . Lolita è uno di quei libri che ti pugnalano col loro sguardo serio mentre tenti di recensirli. Ti senti piccolo piccolo di fronte alla magnificenza degli svolazzi di Nabokov. Sai che il libro ti ha sconvolto, ma ti ritrovi diversi fili dorati tra le mani e non sai da quale iniziare per comporre la tua treccia. Nabokov non me ne voglia se faccio un tentativo. Ho letto questo libro nello stesso periodo in cui terminavo la mia tesi su "La samaritana" di Kim Ki-duk, regista sudcoreano di grande successo ai festival europei. "La samaritana" indaga il tema della prostituzione minorile volontaria, che vede protagonisti ragazzine benestanti e uomini adulti. Lolita affronta un tema ugualmente controverso, la pedofilia. Sebbene l'ambito d'indagine dei due autori sia leggermente divergente, l'approccio è identico. Entrambi prendono la morale comune e la strappano, ne fanno un proiettile spiegazzato e lo spediscono dritto dritto al mittente. Sparita la tenda, rimane la realtà. Cosa pensiamo dei pedofili? Cosa pensiamo degli uomini che approfittano dell'ingenuità delle ragazzine per appagare i loro impulsi sessuali? Le declinazioni possono essere tante, ma il pensiero ruoterà sempre intorno alla parola "feccia". Sono uomini da sopprimere, bandire, cancellare, estirpare. Nabokov e Kim Ki-duk, senza alcuna pretesa di intavolare un discorso scadente nel politically correct, rifiutano di separare l'umanità in greggi usando un'accetta affilata. I pedofili e i clienti sono persone che feriscono, spezzano anime, distruggono infanzie. Ma hanno l'inconveniente di non essere diavoli con coda e forcone. La malattia non rende i loro sensi immuni al dolore, alla sofferenza, al desiderio di amore. Hanno un sistema nervoso identico al nostro, solo che il cervello manda loro degli stimoli di fronte a soggetti che in noi risvegliano amore paterno e tenerezza materna. Il bisogno d'amore rimane invariato. Sarà forse facile fare un discorso di questo tipo per chi non ha mai avuto a che fare con un pedofilo. Ma immaginate di essere un pedofilo. Immaginate di ritrovarvi ad amare qualcuno e di sapere per certo che il vostro amore non potrà mai essere realizzabile, che passerete una vita a combattere con lo scivolone che ha fatto il vostro cervello nel selezionare l'età anagrafica del possibile partner. Potrete sicuramente farvi curare, ma passerete senz'altro la vita circondati da stimoli esterni che continuano a ferirvi con il loro calore fisiologico, per poi ripetervi con una vocina acidula che siete anormali, malati, privi di capacità e possibilità di amare, immondi. Nabokov analizza questo aspetto in un modo divino. E' Humbert Humbert a raccontare la sua storia. L'autore dovette mandare il manoscritto a ben cinque editori, e quattro si rifiutarono di pubblicarlo per motivazioni che - gira e rigira - conducevano tutte a quella tenda moralista che impedisce di guardare la realtà. Quello che accomuna Nabokov e Kim Ki-duk è il rapido movimento con cui ribaltano la posizione di vittima e carnefice sul loro piano di lavoro. Chi è la vittima in "Lolita"? La morale spingerebbe a dire Lolita, senza alcun dubbio. Ma non è forse vero che in alcuni casi Humbert è vittima della spregiudicatezza della giovane? Vittima e carnefice coesistono in ogni personaggio, tanto che una delle motivazioni degli editori per il rigetto del manoscritto fu proprio l'assenza di personaggi "buoni". Ed è questo il bello. Humbert soffre sotto i colpi della sua sessualità distorta. Lolita non viene traviata ma si travia da sé, se questo è possibile, spinta dal luccicare degli oggetti nuovi che Humbert le regala. Concede il suo corpo per ottenere i tasselli con cui costruire un puzzle di vita perfetta, simile a quella delle riviste patinate che tappezzano la sua strada. Una volta nel tunnel, la porta d'ingresso si chiude di scatto come accade nei classici film horror. Allora appaiono gli sguardi spenti, la pigrizia, il desiderio di una parvenza di famiglia, di luce. Se Humbert è vittima della sua malattia, Lolita è vittima del consumismo che l'ha attirata a sé come una rana pescatrice dal lumino pericolosamente acceso. Vittima e carnefice: il suo materialismo la spinge a soddisfare Humbert e a ignorarlo allo stesso tempo, tanto che lei stessa lo ammette nel finale. I personaggi si feriscono senza pietà, sentendo solo il sangue delle proprie ferite e coprendo i lamenti altrui con un roboante "io, io, io!". Quello che ho apprezzato maggiormente del libro è proprio il suo carattere controverso. Humbert è un fine umorista, e spessissimo il lettore viene spinto a sorridere sotto i baffi, quando la coscienza si volta un attimo per bere un bicchier d'acqua ("Un sorriso, lettore, concediamoci almeno un sorriso"). Humbert non è ignaro della sua malattia, soffre spesso di depressione, conosce perfettamente i risvolti morali del suo stato, è un uomo dotto e nutre una profonda avversione per la psicologia che pure conosce a menadito. Durante la narrazione l'Humbert ironico e sprezzante lascia spazio a un personaggio sempre più conscio di sé e della sofferenza che ha inferto a Lolita. E, ciò che è peggio, il lettore lo scopre con lui. Inizialmente la Lolita descritta da Humbert è un'amante in miniatura, perfettamente consenziente e spregiudicata. Con l'avanzare dell'intreccio Humbert perde il filo che gli permette di comunicare direttamente con lei, ma si avvinghia comunque alla sua figura, cieco di amore e urgenza. Solo alla fine del libro ci rivela che Lolita aveva manifestato più volte il desiderio di vivere una vita normale, di riempire quello sguardo vuoto di gioia e calore umano. Lo dice alla fine perché è solo alla fine del suo percorso che riesce a collegare i pezzi e a scoprire l'abisso in cui ha gettato la piccola Dolly. Lolita non diventerà mai madre e non avrà mai una famiglia, dal momento che muore di parto e sua figlia nasce già morta. Nessuno conosce la sua storia oltre Humbert. L'opera intera è un atto di amore di un uomo che per la morale comune non può leggere nemmeno la parola "amore" sul dizionario. E' la consacrazione della propria amata, la sua sepoltura nel tempio dell'immortalità grazie all'uso sapiente dell'arte. "Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata". Una prosa ornata, con l'acume dell'obiettivo di una cinepresa. "Lolita" è narrativa e cinema nello stesso tempo. Non perché Kubrick l'abbia scelto come soggetto, ma perché l'opera in sé è già un possibile copione. Le immagini si susseguono come inquadrature, dai campi lunghi dei paesaggi si passa ai campi medi, ai primi piani, alle soggettive. Non è un libro facile da digerire, ma se incontrate difficoltà resistete e continuate. La posta in gioco è altissima. Io, alla fine della postfazione di Nabokov, avrei voluto mandargli una e-mail con su scritto: "Ben fatto".

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Simone Sanna

Un bel romanzo che tratta in modo magistrale, un tema delicato come la pedofilia. L'autore sviluppa in modo sensibile e dettagliato  i sentimenti di un uomo malato Humbert, che variano dalla frustrazione alla gelosia. La piccola protagonista è Lolita una "ninfetta" (giovane ragazza che ha intrinseco in se un misto di malizia e innocenza) che approfitta della sua sensualità per guadagnarsi i favori dell'amante della madre H. Una pedofilia che sfocia quasi in amore. Un romanzo sui generis, che non riuscirà a non emozionarvi.

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Editore: Adelphi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 395

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 884591254X

ISBN-13: 9788845912542

Data di pubblicazione: 1996

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Entrambi prendono la morale comune e la strappano, ne fanno un proiettile spiegazzato e lo spediscono dritto dritto al mittente. Sparita la tenda, rimane la realtà. Cosa pensiamo dei pedofili? Cosa pensiamo degli uomini che approfittano dell'ingenuità delle ragazzine per appagare i loro impulsi sessuali? Le declinazioni possono essere tante, ma il pensiero ruoterà sempre intorno alla parola "feccia". Sono uomini da sopprimere, bandire, cancellare, estirpare. Nabokov e Kim Ki-duk, senza alcuna pretesa di intavolare un discorso scadente nel politically correct, rifiutano di separare l'umanità in greggi usando un'accetta affilata. I pedofili e i clienti sono persone che feriscono, spezzano anime, distruggono infanzie. Ma hanno l'inconveniente di non essere diavoli con coda e forcone. La malattia non rende i loro sensi immuni al dolore, alla sofferenza, al desiderio di amore. Hanno un sistema nervoso identico al nostro, solo che il cervello manda loro degli stimoli di fronte a soggetti che in noi risvegliano amore paterno e tenerezza materna. Il bisogno d'amore rimane invariato. Sarà forse facile fare un discorso di questo tipo per chi non ha mai avuto a che fare con un pedofilo. Ma immaginate di essere un pedofilo. Immaginate di ritrovarvi ad amare qualcuno e di sapere per certo che il vostro amore non potrà mai essere realizzabile, che passerete una vita a combattere con lo scivolone che ha fatto il vostro cervello nel selezionare l'età anagrafica del possibile partner. Potrete sicuramente farvi curare, ma passerete senz'altro la vita circondati da stimoli esterni che continuano a ferirvi con il loro calore fisiologico, per poi ripetervi con una vocina acidula che siete anormali, malati, privi di capacità e possibilità di amare, immondi. Nabokov analizza questo aspetto in un modo divino. E' Humbert Humbert a raccontare la sua storia. L'autore dovette mandare il manoscritto a ben cinque editori, e quattro si rifiutarono di pubblicarlo per motivazioni che - gira e rigira - conducevano tutte a quella tenda moralista che impedisce di guardare la realtà. Quello che accomuna Nabokov e Kim Ki-duk è il rapido movimento con cui ribaltano la posizione di vittima e carnefice sul loro piano di lavoro. Chi è la vittima in "Lolita"? La morale spingerebbe a dire Lolita, senza alcun dubbio. Ma non è forse vero che in alcuni casi Humbert è vittima della spregiudicatezza della giovane? Vittima e carnefice coesistono in ogni personaggio, tanto che una delle motivazioni degli editori per il rigetto del manoscritto fu proprio l'assenza di personaggi "buoni". Ed è questo il bello. Humbert soffre sotto i colpi della sua sessualità distorta. Lolita non viene traviata ma si travia da sé, se questo è possibile, spinta dal luccicare degli oggetti nuovi che Humbert le regala. Concede il suo corpo per ottenere i tasselli con cui costruire un puzzle di vita perfetta, simile a quella delle riviste patinate che tappezzano la sua strada. Una volta nel tunnel, la porta d'ingresso si chiude di scatto come accade nei classici film horror. Allora appaiono gli sguardi spenti, la pigrizia, il desiderio di una parvenza di famiglia, di luce. Se Humbert è vittima della sua malattia, Lolita è vittima del consumismo che l'ha attirata a sé come una rana pescatrice dal lumino pericolosamente acceso. Vittima e carnefice: il suo materialismo la spinge a soddisfare Humbert e a ignorarlo allo stesso tempo, tanto che lei stessa lo ammette nel finale. I personaggi si feriscono senza pietà, sentendo solo il sangue delle proprie ferite e coprendo i lamenti altrui con un roboante "io, io, io!". Quello che ho apprezzato maggiormente del libro è proprio il suo carattere controverso. Humbert è un fine umorista, e spessissimo il lettore viene spinto a sorridere sotto i baffi, quando la coscienza si volta un attimo per bere un bicchier d'acqua ("Un sorriso, lettore, concediamoci almeno un sorriso"). Humbert non è ignaro della sua malattia, soffre spesso di depressione, conosce perfettamente i risvolti morali del suo stato, è un uomo dotto e nutre una profonda avversione per la psicologia che pure conosce a menadito. Durante la narrazione l'Humbert ironico e sprezzante lascia spazio a un personaggio sempre più conscio di sé e della sofferenza che ha inferto a Lolita. E, ciò che è peggio, il lettore lo scopre con lui. Inizialmente la Lolita descritta da Humbert è un'amante in miniatura, perfettamente consenziente e spregiudicata. Con l'avanzare dell'intreccio Humbert perde il filo che gli permette di comunicare direttamente con lei, ma si avvinghia comunque alla sua figura, cieco di amore e urgenza. Solo alla fine del libro ci rivela che Lolita aveva manifestato più volte il desiderio di vivere una vita normale, di riempire quello sguardo vuoto di gioia e calore umano. Lo dice alla fine perché è solo alla fine del suo percorso che riesce a collegare i pezzi e a scoprire l'abisso in cui ha gettato la piccola Dolly. Lolita non diventerà mai madre e non avrà mai una famiglia, dal momento che muore di parto e sua figlia nasce già morta. Nessuno conosce la sua storia oltre Humbert. L'opera intera è un atto di amore di un uomo che per la morale comune non può leggere nemmeno la parola "amore" sul dizionario. E' la consacrazione della propria amata, la sua sepoltura nel tempio dell'immortalità grazie all'uso sapiente dell'arte. "Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata". Una prosa ornata, con l'acume dell'obiettivo di una cinepresa. "Lolita" è narrativa e cinema nello stesso tempo. Non perché Kubrick l'abbia scelto come soggetto, ma perché l'opera in sé è già un possibile copione. Le immagini si susseguono come inquadrature, dai campi lunghi dei paesaggi si passa ai campi medi, ai primi piani, alle soggettive. Non è un libro facile da digerire, ma se incontrate difficoltà resistete e continuate. La posta in gioco è altissima. Io, alla fine della postfazione di Nabokov, avrei voluto mandargli una e-mail con su scritto: "Ben fatto".

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Un bel romanzo che tratta in modo magistrale, un tema delicato come la pedofilia. L'autore sviluppa in modo sensibile e dettagliato  i sentimenti di un uomo malato Humbert, che variano dalla frustrazione alla gelosia. La piccola protagonista è Lolita una "ninfetta" (giovane ragazza che ha intrinseco in se un misto di malizia e innocenza) che approfitta della sua sensualità per guadagnarsi i favori dell'amante della madre H. Una pedofilia che sfocia quasi in amore. Un romanzo sui generis, che non riuscirà a non emozionarvi.

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