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Patrik Ourednik

Oggi e dopodomani

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 1 libreria
Inserito il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 1 libreria

L’atteso ritorno nelle librerie italiane di uno dei massimi esponenti della grande letteratura contemporanea, apprezzato in tutto il mondo da critici e lettori per la sua scrittura brillante, capace di abbinare l’umorismo più tagliente a riflessioni profonde e mai banali.
Così Ourednik si cimenta con il tema chiave del nostro tempo, la fine del mondo, interrogando ed esorcizzando le paure e i desiderî di cinque personaggi, che sono come altrettanti piccoli universi giunti a una svolta decisiva, e regalandoci una nuova esperienza di lettura fuori dall’ordinario.

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Alberto Rossi

Il mondo finisce, così, d'emblèe, e gli ultimi cinque superstiti si ritrovano sul palco di un teatro a discutere sul loro futuro, che, va da sé, corrisponde al futuro dell'umanità tutta. Già, sul palco di un teatro: affinché la finzione ci sia sempre sotto gli occhi sono gli stessi personaggi a interpellare un pubblico che non dovrebbe esistere non perché c'è quel famoso muro a separarli (muro d'altronde già abbattuto da mo'), ma perché se loro son gli ultimi superstiti, che ci fa tutta quella gente a guardare? Ourednik, come di consueto, parte da un'idea stravagante e divertente per poi calarci nel funerale del consorzio umano. Lo faceva nel capolavoro assoluto Europeana, una brevissima e stringata anonima cronaca dell'anonima storia del XX secolo, beffarda e demolitrice come ben pochi libri io abbia mai avuto il piacere di leggere. Si ripete con questo Oggi e dopodomani, tragicommedia allucinata ma soprattutto abbondante (nel senso che ci dona abbondanza) riflessione su cosa vuol dire vivere nel mondo oggi, prima della catastrofe che verrà. I protagonisti, partiamo con ordine, sono nostri conterranei. Difficile capire perché uno scrittore ceco che vive in Francia abbia scelto proprio l'Italia per rappresentare l'ultima manifestazione di qualcosa che assomiglia alla società, ma per un italiano risulta quantomeno una decisione beffarda (e magari non è sfuggita neanche al signor Ourednik, che da profondo conoscitore della politica europea sa della disillusione costante di un popolo che non è impossibile da governare, ma inutile): SIGNORI - […] Se si vuole ragionare razionalmente, bisogna attenersi ai fatti. E i fatti ci dicono che qui, a parte noi, non c'è nessun altro. (Pausa) Non so cosa pensiate voi, ma, personalmente, provo un certo orgoglio quando mi dico che gli ultimi testimoni degli ultimi istanti del pianeta Terra sono quattro italiani. (Felice) I signori Andrea e Carlo, il signor Giovanni Rosati e il dottor Signori. Eppure, da un punto di vista puramente statistico, i cinesi (calcola) avevano ventidue volte più possibilità di noi. Gli indiani (calcola) diciotto volte. Gli americani… (calcola, mentre gli altri lo ascoltano interdetti) cinque volte. Quanto ai nostri amici tedeschi, che nei secoli ci hanno dato tanto filo di torcere… più o meno una volta e un quarto. Naturalmente se ci basiamo sul fatto che gli italiani erano cinquantaseimilionicentotrentatremilatrentanove all'ultimo censimento. Ma le statistiche sono una cosa e la resistenza di un popolo un'altra. Noi italiani siamo sopravvissuti a tutto. E la nostra presenza, qui, da un punto di vista simbolico è qualcosa di inaudito. GIOVANNI - (Si schiarisce la voce) A questo non siamo ancora sopravvissuti. SIGNORI - A beh… (gesto). Al di là di questo, è esilarante, nel colmo della tragedia, vedere come Ourednik radicalizzi un'idea in fondo non nuova. Sembra che nonostante la fine del mondo sia ancora fresca fresca e da interiorizzare con lenta masticazione, la paura più grande sia quella di una nuova apocalisse, perpetrata da un'umanità che ormai è scomparsa. Quantomeno, gli ultimi uomini rimasti si (e ci) conoscono bene. È spassoso, dal mio punto di vista, vedere come il classico tema letterario (in particolare postmoderno) dell'apocalisse imminente non possa essere spazzato via neanche da un'apocalisse appena avvenuta. Chissà, forse perché la prima fine è stata deludente, si cerca una replica migliore: Me n'ero fatto un'immagine più grandiosa (Pausa) Sole in agonia, cielo disseminato di meteoriti, masse in preda al panico, profeti con la barba lunga agli angoli delle strade, bambini in lacrime smarriti nelle città, stupro e fornicazione, violenza e depravazione, bestemmie e improperi a profusione dal baratro delle anime perdute. (Pausa) Insomma, qualcosa di più umano. E intanto quella che si va dipingendo è una tela in cui ogni viltà e prepotenza del presente vengono viste col distacco di chi non vuole più aver niente a che fare con la sua stessa storia, ipocritamente, ché anche i cinque sopravvissuti facevano parte di quell'associazione vile e prepotente chiamata umanità. Ourednik è un fatalista, ce ne si era già accorti in Europeana, e qui rincara la dose usando lo stesso stratagemma: si parla alla larga della società per criticare il singolo, si parla alla larga del singolo per criticare la società. Si scontrano, in sostanza, la pragmatica di un realismo devastante e le lugubri elucubrazioni sull'inizio e sulla fine della storia (ancora una volta, allo stesso modo si chiudeva Europeana). Alla fin fine, Ourednik ha la stessa pietà che avevano, ai loro tempi, Čechov, Canetti, Céline. Ovvero, non ha alcuna pietà. Questo moralmente, perché stilisticamente i maestri mi sembrano altri: Jarry: La mia materia preferita era l'ipotesologia. La scienza degli atteggiamenti appropriati a circostanze improbabili. Borges: Chiedo, e se fossimo già morti? (Indica il pubblico) Se semplicemente ci stessero sognando? Pirandello: In questa pièce qualcosa comincia a non andare. All'inizio era abbastanza divertente, ma adesso… E poi, questa scena che si rimpicciolisce… meno male che non si restringe anche la sala. Fino all'annichilamento definitivo dato dal gran finale, purtroppo irrealizzabile in teatro perché ci vorrebbe la collaborazione del pubblico tutto, e conoscendo le tipiche prime file impellicciate dei teatri d'Europa dubito che questo possa accadere. Ma tanto mi piacerebbe vedere la faccia di una dama in ermellino di fronte alla sua personalissima fine del mondo. E nel frattempo vengono in mente le parole di Andrea Zanzotto quando diceva: "Sembra solo, l'umanità, un'insignificante muffetta che appena sopra lo zero (273) ha attecchito sulla terra, essendosi poi anche rivelata velenosa a sé e a tutto. Ma sono già troppe le parole per dire questo concetto. E il mondo dei concetti come fa a convivere con questa muffa, anzi a essere secreto dalla muffa stessa?" Prima Europeana e adesso questo. Se qualcuno vuole venire a contatto con una delle menti più fervide ed esplosive oggi in circolazione non esiti a salire sul carrozzone Ourednik.

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Editore: :duepunti edizioni

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 112

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8889987634

ISBN-13: 9788889987636

Data di pubblicazione: 2011

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Così Ourednik si cimenta con il tema chiave del nostro tempo, la fine del mondo, interrogando ed esorcizzando le paure e i desiderî di cinque personaggi, che sono come altrettanti piccoli universi giunti a una svolta decisiva, e regalandoci una nuova esperienza di lettura fuori dall’ordinario.

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Si ripete con questo Oggi e dopodomani, tragicommedia allucinata ma soprattutto abbondante (nel senso che ci dona abbondanza) riflessione su cosa vuol dire vivere nel mondo oggi, prima della catastrofe che verrà. I protagonisti, partiamo con ordine, sono nostri conterranei. Difficile capire perché uno scrittore ceco che vive in Francia abbia scelto proprio l'Italia per rappresentare l'ultima manifestazione di qualcosa che assomiglia alla società, ma per un italiano risulta quantomeno una decisione beffarda (e magari non è sfuggita neanche al signor Ourednik, che da profondo conoscitore della politica europea sa della disillusione costante di un popolo che non è impossibile da governare, ma inutile): SIGNORI - […] Se si vuole ragionare razionalmente, bisogna attenersi ai fatti. E i fatti ci dicono che qui, a parte noi, non c'è nessun altro. (Pausa) Non so cosa pensiate voi, ma, personalmente, provo un certo orgoglio quando mi dico che gli ultimi testimoni degli ultimi istanti del pianeta Terra sono quattro italiani. (Felice) I signori Andrea e Carlo, il signor Giovanni Rosati e il dottor Signori. Eppure, da un punto di vista puramente statistico, i cinesi (calcola) avevano ventidue volte più possibilità di noi. Gli indiani (calcola) diciotto volte. Gli americani… (calcola, mentre gli altri lo ascoltano interdetti) cinque volte. Quanto ai nostri amici tedeschi, che nei secoli ci hanno dato tanto filo di torcere… più o meno una volta e un quarto. Naturalmente se ci basiamo sul fatto che gli italiani erano cinquantaseimilionicentotrentatremilatrentanove all'ultimo censimento. Ma le statistiche sono una cosa e la resistenza di un popolo un'altra. Noi italiani siamo sopravvissuti a tutto. E la nostra presenza, qui, da un punto di vista simbolico è qualcosa di inaudito. GIOVANNI - (Si schiarisce la voce) A questo non siamo ancora sopravvissuti. SIGNORI - A beh… (gesto). Al di là di questo, è esilarante, nel colmo della tragedia, vedere come Ourednik radicalizzi un'idea in fondo non nuova. Sembra che nonostante la fine del mondo sia ancora fresca fresca e da interiorizzare con lenta masticazione, la paura più grande sia quella di una nuova apocalisse, perpetrata da un'umanità che ormai è scomparsa. Quantomeno, gli ultimi uomini rimasti si (e ci) conoscono bene. È spassoso, dal mio punto di vista, vedere come il classico tema letterario (in particolare postmoderno) dell'apocalisse imminente non possa essere spazzato via neanche da un'apocalisse appena avvenuta. Chissà, forse perché la prima fine è stata deludente, si cerca una replica migliore: Me n'ero fatto un'immagine più grandiosa (Pausa) Sole in agonia, cielo disseminato di meteoriti, masse in preda al panico, profeti con la barba lunga agli angoli delle strade, bambini in lacrime smarriti nelle città, stupro e fornicazione, violenza e depravazione, bestemmie e improperi a profusione dal baratro delle anime perdute. (Pausa) Insomma, qualcosa di più umano. E intanto quella che si va dipingendo è una tela in cui ogni viltà e prepotenza del presente vengono viste col distacco di chi non vuole più aver niente a che fare con la sua stessa storia, ipocritamente, ché anche i cinque sopravvissuti facevano parte di quell'associazione vile e prepotente chiamata umanità. Ourednik è un fatalista, ce ne si era già accorti in Europeana, e qui rincara la dose usando lo stesso stratagemma: si parla alla larga della società per criticare il singolo, si parla alla larga del singolo per criticare la società. Si scontrano, in sostanza, la pragmatica di un realismo devastante e le lugubri elucubrazioni sull'inizio e sulla fine della storia (ancora una volta, allo stesso modo si chiudeva Europeana). Alla fin fine, Ourednik ha la stessa pietà che avevano, ai loro tempi, Čechov, Canetti, Céline. Ovvero, non ha alcuna pietà. Questo moralmente, perché stilisticamente i maestri mi sembrano altri: Jarry: La mia materia preferita era l'ipotesologia. La scienza degli atteggiamenti appropriati a circostanze improbabili. Borges: Chiedo, e se fossimo già morti? (Indica il pubblico) Se semplicemente ci stessero sognando? Pirandello: In questa pièce qualcosa comincia a non andare. All'inizio era abbastanza divertente, ma adesso… E poi, questa scena che si rimpicciolisce… meno male che non si restringe anche la sala. Fino all'annichilamento definitivo dato dal gran finale, purtroppo irrealizzabile in teatro perché ci vorrebbe la collaborazione del pubblico tutto, e conoscendo le tipiche prime file impellicciate dei teatri d'Europa dubito che questo possa accadere. Ma tanto mi piacerebbe vedere la faccia di una dama in ermellino di fronte alla sua personalissima fine del mondo. E nel frattempo vengono in mente le parole di Andrea Zanzotto quando diceva: "Sembra solo, l'umanità, un'insignificante muffetta che appena sopra lo zero (273) ha attecchito sulla terra, essendosi poi anche rivelata velenosa a sé e a tutto. Ma sono già troppe le parole per dire questo concetto. E il mondo dei concetti come fa a convivere con questa muffa, anzi a essere secreto dalla muffa stessa?" Prima Europeana e adesso questo. 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