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Francesco M. Cataluccio

Immaturità

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 1 libreria
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Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 1 libreria

Il Novecento è stato il secolo in cui il culto della fanciullezza si è radicalizzato: gli adulti sono stati indotti a conservare la propria giovinezza, a "pensare giovane", il fanciullo è stato imposto come paradigma di un essere ideale e l'immaturità è diventata la malattia estrema del mondo occidentale. Da "Peter Pan" a "Lolita", dal "Giovane Holden" a "Il sorpasso" e a Fellini, un'analisi della decadenza del mondo occidentale dominato dal mito dannoso del ritorno all'innocenza infantile. Un mondo racchiuso nell'immagine dell'ultima scena di "Full Metal Jacket", nel plotone di marines che, dopo l'ennesimo massacro, torna alla base cantando l'inno di Topolino. Un'immagine paradossale, ma fino a un certo punto.

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Recensioni

Alberto Rossi

Libercolo potenzialmente assai interessante, invece piuttosto svilente, di un autore che per prima cosa, come compito a casa, dovrebbe farsi un bel ripasso sulla consecutio temporum. In generale, però, è tutta la prosa di Cataluccio ad essere debole e a dargli il colpo di grazia ci pensano le citazioni (da Nietzsche a Roth a Kafka a Canetti a Primo Levi) che fanno ancor di più risaltare la pochezza della scrittura. Ma se il lato formale non è dei più esaltanti, quello contenutistico fa addirittura peggio. Cataluccio sostiene, in sintesi, che il continuo rincorrere il mito dell'infanzia che ha caratterizzato il Novecento sia alla base della decadenza dell'occidente, mentre la maturità è vista come merito assoluto, antidoto alle stupide pulsioni immature. Ma tutto il libro è imperniato su un'immensa confusione tra immaturità, fanciullezza e gioventù, fra loro scambiate a piacere e senza alcun criterio e a loro volta confuse con il cattivo gusto (come se il cattivo gusto fosse originato solo ed esclusivamente dall'immaturità). Cataluccio arriva quindi a criticare qualsiasi visione (culturale, artistica, filosofica, storica) della gioventù che non ne abbia messo in risalto i, per lui, innumerevoli difetti. Tra gli altri, a subire pesanti valutazioni negative ci sono un po' tutte le avanguardie di inizio secolo scorso, ma anche Pascoli, Malaparte, Gunter Grass, Pasolini (dei cui scritti penso che Cataluccio abbia capito ben poco), Ermanno Olmi e, se ho letto bene fra le righe (il suo nome non è esplicitato), il grande poeta Sandro Penna. La maturità, invece, è per lui esente da difetti, la perfezione a cui l'uomo deve ambire. Non so se la sua visione sia quella di un borghese un po' retro che rimpiange i tempi che furono (paradossalmente i secoli più maturi precederebbero quelli immaturi) oppure, e sarebbe ancor più paradossale, se sia quella di un immaturo incapace di contestualizzare e di guardare oltre alla superficie. In ogni caso, il risultato è un bacchettonismo tedioso all'inverosimile. Non voglio fare un'apologia dell'immaturità, ci mancherebbe, né tantomeno della gioventù (il cui mito è effettivamente, e qui l'autore ha ragione, fin troppo abusato): dico semplicemente che cancellarne le tracce ripudiandola aspramente, come vorrebbe Cataluccio, sarebbe tanto dannoso quanto ergerla a mito incontrovertibile.

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Editore: Einaudi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 215

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8806143557

ISBN-13: 9788806143558

Data di pubblicazione: 2004

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Il Novecento è stato il secolo in cui il culto della fanciullezza si è radicalizzato: gli adulti sono stati indotti a conservare la propria giovinezza, a "pensare giovane", il fanciullo è stato imposto come paradigma di un essere ideale e l'immaturità è diventata la malattia estrema del mondo occidentale. Da "Peter Pan" a "Lolita", dal "Giovane Holden" a "Il sorpasso" e a Fellini, un'analisi della decadenza del mondo occidentale dominato dal mito dannoso del ritorno all'innocenza infantile. Un mondo racchiuso nell'immagine dell'ultima scena di "Full Metal Jacket", nel plotone di marines che, dopo l'ennesimo massacro, torna alla base cantando l'inno di Topolino. Un'immagine paradossale, ma fino a un certo punto.

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Libercolo potenzialmente assai interessante, invece piuttosto svilente, di un autore che per prima cosa, come compito a casa, dovrebbe farsi un bel ripasso sulla consecutio temporum. In generale, però, è tutta la prosa di Cataluccio ad essere debole e a dargli il colpo di grazia ci pensano le citazioni (da Nietzsche a Roth a Kafka a Canetti a Primo Levi) che fanno ancor di più risaltare la pochezza della scrittura. Ma se il lato formale non è dei più esaltanti, quello contenutistico fa addirittura peggio. Cataluccio sostiene, in sintesi, che il continuo rincorrere il mito dell'infanzia che ha caratterizzato il Novecento sia alla base della decadenza dell'occidente, mentre la maturità è vista come merito assoluto, antidoto alle stupide pulsioni immature. Ma tutto il libro è imperniato su un'immensa confusione tra immaturità, fanciullezza e gioventù, fra loro scambiate a piacere e senza alcun criterio e a loro volta confuse con il cattivo gusto (come se il cattivo gusto fosse originato solo ed esclusivamente dall'immaturità). Cataluccio arriva quindi a criticare qualsiasi visione (culturale, artistica, filosofica, storica) della gioventù che non ne abbia messo in risalto i, per lui, innumerevoli difetti. Tra gli altri, a subire pesanti valutazioni negative ci sono un po' tutte le avanguardie di inizio secolo scorso, ma anche Pascoli, Malaparte, Gunter Grass, Pasolini (dei cui scritti penso che Cataluccio abbia capito ben poco), Ermanno Olmi e, se ho letto bene fra le righe (il suo nome non è esplicitato), il grande poeta Sandro Penna. La maturità, invece, è per lui esente da difetti, la perfezione a cui l'uomo deve ambire. Non so se la sua visione sia quella di un borghese un po' retro che rimpiange i tempi che furono (paradossalmente i secoli più maturi precederebbero quelli immaturi) oppure, e sarebbe ancor più paradossale, se sia quella di un immaturo incapace di contestualizzare e di guardare oltre alla superficie. In ogni caso, il risultato è un bacchettonismo tedioso all'inverosimile. Non voglio fare un'apologia dell'immaturità, ci mancherebbe, né tantomeno della gioventù (il cui mito è effettivamente, e qui l'autore ha ragione, fin troppo abusato): dico semplicemente che cancellarne le tracce ripudiandola aspramente, come vorrebbe Cataluccio, sarebbe tanto dannoso quanto ergerla a mito incontrovertibile.

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