A dieci anni dalla scomparsa di Beppe Fenoglio, questo nuovo volume che raccoglie organicamente una serie di racconti inediti, rinvenuti tra le sue carte, comprova ancora una volta quanto abbia perduto, con lui, la nostra narrativa.
Dopo la pubblicazione di La malora, nell'estate 1954, Fenoglio lavorò per qualche tempo a cogliere dal vivo scene, fatti, personaggi memorabili della sua Langa. Da quella vena di cronista disincantato e partecipe del mondo di casa, di cui conosceva cosi bene asprezze e generosità, miserie e grandezze, sono nati anche alcuni racconti già apparsi a stampa, come ad esempio Un giorno di fuoco. I quattro «pezzi» intitolati Il paese, che aprono questo volume, appartengono appunto a questo filone.
Sullo sfondo appannato e sonnacchioso di una provincia tra le due guerre si muovono personaggi fortemente chiaroscurati: il gagliardo e sanguigno Paco, astuto commerciante di bestiame, il medico codardo, il viscido podestà, i giocatori di pallone aureo.lati di fama e di soldi, ostesse parsimoniose, vecchi brontoloni. Le storie di famiglia, i matrimoni, gli amori, l'ossessione della «roba», i commerci, il senso del parentado, le beghe e le risse lievitano sino alle dimensioni di una ruvida epica paesana, in virtù di un linguaggio che utilizza accortamente le durezze sintattiche e lessicali del dialetto, e le robuste metafore del parlare contadino, in una cifra stilistica di penetrante efficacia.
Nella serie dei Penultimi, cui Fenoglio lavorò nel 1962, un anno prima di morire, siamo cronologicamente ancora piú in là, negli anni della Grande Guerra. Il conflitto è visto da un paese langarolo spopolato dai richiami alle armi, e attraverso gli occhi di un ragazzo rimasto solo a casa coi nonni. I tempi lunghi della nuova vita rarefatta cui il paese è obbligato sono scanditi ossessivamente dagli annunci di morte che il prete e il maresciallo dei carabinieri portano alle famiglie dei caduti. La guerra è oggetto di un rifiuto collettivo: i sacri entusiasmi ufficiali verranno violentemente dissacrati da zio Amilcare di ritorno dal fronte, in una clamorosa scenata ai borghesi in un caffè di Alba.
Il viaggio del ragazzo verso l'alta Langa, in cui sarà ospitato da altri parenti, si chiude con un'immagine emblematica: la livida, spettrale apparizione di un disertore che vive alla macchia. Tra «cronaca» e storia, farsa e dramma, ironia e pietà, Fenoglio delinea una vicenda corale tutta scatti, ammicchi, squarci vigorosi. L'aneddotica familiare e paesana si allarga a momento significativo dell'eterna vicenda umana, e si carica di universale poesia.