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E intanto, mentre non c'eri...

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Siri Hustvedt

L'estate senza uomini

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 02-05-2016 da Mario
Aggiornato il 02-05-2016 da Mario
Disponibile in 3 librerie
Inserito il 02-05-2016 da Mario
Aggiornato il 02-05-2016 da Mario
Disponibile in 3 librerie

Boris, insigne neuroscienziato newyorkese, si è concesso una «pausa», vale a dire un'amante più giovane, e la moglie Mia, poetessa e filosofa, l'ha presa male ed è finita in ospedale con una diagnosi di «psicosi reattiva breve». Uscita dall'ospedale, Mia non se la sente di tornare nella casa disertata dal marito, e decide cosí di allontanarsi per qualche tempo da New York per andare a trovare la madre, che abita in una struttura residenziale per anziani a Bonden, Minnesota, la cittadina dove Mia è nata e cresciuta.
Comincia così questa inconsueta storia di una convalescenza, la convalescenza di una donna che, sperimentando un'estate senza uomini, riscopre in una realtà provinciale apparentemente squallida e monotona un mondo di relazioni umane ancora più ricco e coinvolgente di quello a cui era abituata nella sua sofisticata vita di intellettuale metropolitana. Non si pensi però a un'ingenua riscoperta delle radici, perché lo sguardo posato da Siri Hustvedt sulla provincia americana non ha nulla di idilliaco: le tenere adolescenti che studiano poesia sottopongono le compagne a raffinate torture psicologiche, le arzille vecchiette ricoverate in ospizio coltivano lubrichi «divertimenti segreti», e le simpatiche famigliole nelle loro villette suburbane sono lacerate da violenti diverbi.
In questo mondo apparentemente mansueto ma intimamente turbolento, Mia irrompe come una sorta di deus ex machina, suscitando confidenze, svelando intrighi e risolvendo conflitti, e da questo mondo in cambio riceve una nuova consapevolezza di sé: abituata a considerarsi bella e intelligente, Mia si scopre anche umana e autonoma, e soprattutto degna di essere amata.
L'estate senza uomini finisce così per rivelarsi un sorprendente romanzo d'amore, un'intensa e raffinata meditazione narrativa sulla più irrazionale, incoerente, profonda e persistente delle forme di convivenza umana: il matrimonio.

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Mario

Non ce la faccio a non scriverlo: le oltre centocinquanta pagine di "L'estate senza uomini" di Siri Ustvedt (tradotto da Gioia Guerzoni, edito da Einaudi) sono buone per quando peli le patate e non hai sotto mano del giornale per raccogliere le bucce. Un cassetto sgangherato e disordinato che - con la scusa del "diario" e della "follia" (con la follia non sbagli mai, fa fine e non impegna) - contiene di tutto: citazioni lanciate a vanvera accoppiate a banalità raggelanti, condite con periodi farraginosi - quando non incomprensibili -, e lunghissime elucubrazioni del filone "cavoli a merenda"/"sesso delle pietre". Un libro che poteva essere risolto in una sola frase, vabbe' libro, diciamo un insieme di pezzi di carta molto ben rilegati con lettere stampate. Una lunghissima serie di calci e schiaffi alla letteratura per dimostrare che lei - la protagonista eh, non l'autrice, casualmente moglie di P. Auster - è una intellettuale - oltretutto poetessa - taumaturga, una che dopo anni di meditazione sull'ermeneutica di non so cosa ha raggiunto sia la convinzione che il tempo passato non ritorna, sia che donne e uomini sono forse anche un po' diversi, ma su cui però pesano tutti i mali del mondo. O forse è solo questione di editing e di traduzione?

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Editore: Einaudi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 151

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8806210742

ISBN-13: 9788806210748

Data di pubblicazione: 2012

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Boris, insigne neuroscienziato newyorkese, si è concesso una «pausa», vale a dire un'amante più giovane, e la moglie Mia, poetessa e filosofa, l'ha presa male ed è finita in ospedale con una diagnosi di «psicosi reattiva breve». Uscita dall'ospedale, Mia non se la sente di tornare nella casa disertata dal marito, e decide cosí di allontanarsi per qualche tempo da New York per andare a trovare la madre, che abita in una struttura residenziale per anziani a Bonden, Minnesota, la cittadina dove Mia è nata e cresciuta.
Comincia così questa inconsueta storia di una convalescenza, la convalescenza di una donna che, sperimentando un'estate senza uomini, riscopre in una realtà provinciale apparentemente squallida e monotona un mondo di relazioni umane ancora più ricco e coinvolgente di quello a cui era abituata nella sua sofisticata vita di intellettuale metropolitana. Non si pensi però a un'ingenua riscoperta delle radici, perché lo sguardo posato da Siri Hustvedt sulla provincia americana non ha nulla di idilliaco: le tenere adolescenti che studiano poesia sottopongono le compagne a raffinate torture psicologiche, le arzille vecchiette ricoverate in ospizio coltivano lubrichi «divertimenti segreti», e le simpatiche famigliole nelle loro villette suburbane sono lacerate da violenti diverbi.
In questo mondo apparentemente mansueto ma intimamente turbolento, Mia irrompe come una sorta di deus ex machina, suscitando confidenze, svelando intrighi e risolvendo conflitti, e da questo mondo in cambio riceve una nuova consapevolezza di sé: abituata a considerarsi bella e intelligente, Mia si scopre anche umana e autonoma, e soprattutto degna di essere amata.
L'estate senza uomini finisce così per rivelarsi un sorprendente romanzo d'amore, un'intensa e raffinata meditazione narrativa sulla più irrazionale, incoerente, profonda e persistente delle forme di convivenza umana: il matrimonio.

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Non ce la faccio a non scriverlo: le oltre centocinquanta pagine di "L'estate senza uomini" di Siri Ustvedt (tradotto da Gioia Guerzoni, edito da Einaudi) sono buone per quando peli le patate e non hai sotto mano del giornale per raccogliere le bucce. Un cassetto sgangherato e disordinato che - con la scusa del "diario" e della "follia" (con la follia non sbagli mai, fa fine e non impegna) - contiene di tutto: citazioni lanciate a vanvera accoppiate a banalità raggelanti, condite con periodi farraginosi - quando non incomprensibili -, e lunghissime elucubrazioni del filone "cavoli a merenda"/"sesso delle pietre". Un libro che poteva essere risolto in una sola frase, vabbe' libro, diciamo un insieme di pezzi di carta molto ben rilegati con lettere stampate. Una lunghissima serie di calci e schiaffi alla letteratura per dimostrare che lei - la protagonista eh, non l'autrice, casualmente moglie di P. Auster - è una intellettuale - oltretutto poetessa - taumaturga, una che dopo anni di meditazione sull'ermeneutica di non so cosa ha raggiunto sia la convinzione che il tempo passato non ritorna, sia che donne e uomini sono forse anche un po' diversi, ma su cui però pesano tutti i mali del mondo. O forse è solo questione di editing e di traduzione?

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