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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Alessandro Stellino

Incendi.

Racconto di fine estate

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 28-09-2017 da Luisa
Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 11 librerie
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Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
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Mario

Verità e realtà, i filosofi si sono sperticati nel dire tutto e il contrario di tutto, quantomeno per giustificarle, ma viene voglia di affermare che esse non sono altro che costrutti mentali ad hoc, dai contorni sfumati, per dettagliare nel miglior modo le nostre percezioni; forse la verità giudiziaria potrebbe avere un po’ più di peso: sì, “forse” e “potrebbe”. Alessandro Stellino, giovane scrittore emergente sardo, residente a Milano e con una passione militante per il cinema, spiega la sua visione di verità e di realtà nel romanzo Incendi, racconto di fine estate (2011, Il maestrale, 140 pagine, € 16,00); l’autore si affida a due capisaldi classici, ossia a due – chiamiamoli così, ma non in senso dispregiativo – luoghi comuni: i bambini e la stampa. L’innocenza e il candore dei bambini sono da sempre considerati una garanzia di sincerità, mentre, dall’altra parte, si è soliti ritenere vera qualsiasi cosa scritta sul giornale, quasi come se questo si scrivesse da solo tra le mani del tipografo (e anche se incidentalmente talvolta si mette in dubbio la carta stampata, sotto sotto la si crede completamente). Perla, una bambina un po’ particolare, chiacchierona, vivace e intelligente, che vive in un posto imprecisato della riviera di Sorso, in provincia di Sassari, che si esprime con un linguaggio direttamente derivato dal sardo (che lei italianizza, spesso in maniera esilarante) e con problemi famigliari, nella prima parte dell’opera ci racconta una vicenda vissuta in prima persona durante l’afosa estate del 1986, proprio nella zona in cui abita; lei spesso mischia fantasia e realtà tanto che non si capisce quando dice la verità o quando esagera, tuttavia quando vuole che le si creda a tutti i costi conclude il discorso dicendo “la verità”. Ecco, forse quello è l’unico momento in cui la si può credere completamente. Nella seconda parte, la stessa storia, che poi è una vicenda di cronaca nera, viene affrontata con il freddo stile dell’inchiesta giornalistica. Siamo nel 1986, le tecniche investigative non sono troppo efficienti e ci si basa più che altro sull’intuito di giornalisti e investigatori, che si affannano in una sorta di anastilosi della realtà. La storia che Perla ha vissuto in prima persona, peraltro in maniera tutto sommato piacevole, viene ricostruita sotto un’altra angolazione, al pari di una fotografia che prevede anche una parte in “negativo”. Ma non si capisce quale delle due visioni sia il “non” negativo. Insomma, Lilly e Marco, i due ragazzi al centro della storia raccontata da Perla e poi ricostruita sui giornali, assumono diverse connotazioni e alla fine il lettore, pur avendo compreso appieno il senso della vicenda, non riesce a metterne a fuoco i contorni, in una sorta di déjà-vu Pirandelliano in cui l’osservatore oscilla tra più poli: la verità non esiste – esistono più verità – la realtà viene distorta. Assodato che verità e realtà nascono dalla combinazione dei singoli fatti, resta sempre quell’alea per mezzo della quale è possibile fare un’infinità di ulteriori considerazioni e ipotesi. E, si badi, come peraltro bene evidenziato in quest’opera, a nulla vale la percezione diretta: l’indefinito, per quanto dai margini ridotti, persiste, indelebile. Un maturo romanzo d’esordio in cui stile e registri narrativi – estremamente efficaci - rendono l’opera non fine a se stessa – oltre che piacevole – e predispongono il lettore a una riflessione su ciò che è, su ciò che appare e su ciò che alla fine, dopo la decantazione, resta ai posteri.

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Editore: Il Maestrale

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 140

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8864290982

ISBN-13: 9788864290980

Data di pubblicazione: 2010

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Racconto di fine estate

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Verità e realtà, i filosofi si sono sperticati nel dire tutto e il contrario di tutto, quantomeno per giustificarle, ma viene voglia di affermare che esse non sono altro che costrutti mentali ad hoc, dai contorni sfumati, per dettagliare nel miglior modo le nostre percezioni; forse la verità giudiziaria potrebbe avere un po’ più di peso: sì, “forse” e “potrebbe”. Alessandro Stellino, giovane scrittore emergente sardo, residente a Milano e con una passione militante per il cinema, spiega la sua visione di verità e di realtà nel romanzo Incendi, racconto di fine estate (2011, Il maestrale, 140 pagine, € 16,00); l’autore si affida a due capisaldi classici, ossia a due – chiamiamoli così, ma non in senso dispregiativo – luoghi comuni: i bambini e la stampa. L’innocenza e il candore dei bambini sono da sempre considerati una garanzia di sincerità, mentre, dall’altra parte, si è soliti ritenere vera qualsiasi cosa scritta sul giornale, quasi come se questo si scrivesse da solo tra le mani del tipografo (e anche se incidentalmente talvolta si mette in dubbio la carta stampata, sotto sotto la si crede completamente). Perla, una bambina un po’ particolare, chiacchierona, vivace e intelligente, che vive in un posto imprecisato della riviera di Sorso, in provincia di Sassari, che si esprime con un linguaggio direttamente derivato dal sardo (che lei italianizza, spesso in maniera esilarante) e con problemi famigliari, nella prima parte dell’opera ci racconta una vicenda vissuta in prima persona durante l’afosa estate del 1986, proprio nella zona in cui abita; lei spesso mischia fantasia e realtà tanto che non si capisce quando dice la verità o quando esagera, tuttavia quando vuole che le si creda a tutti i costi conclude il discorso dicendo “la verità”. Ecco, forse quello è l’unico momento in cui la si può credere completamente. Nella seconda parte, la stessa storia, che poi è una vicenda di cronaca nera, viene affrontata con il freddo stile dell’inchiesta giornalistica. Siamo nel 1986, le tecniche investigative non sono troppo efficienti e ci si basa più che altro sull’intuito di giornalisti e investigatori, che si affannano in una sorta di anastilosi della realtà. La storia che Perla ha vissuto in prima persona, peraltro in maniera tutto sommato piacevole, viene ricostruita sotto un’altra angolazione, al pari di una fotografia che prevede anche una parte in “negativo”. Ma non si capisce quale delle due visioni sia il “non” negativo. Insomma, Lilly e Marco, i due ragazzi al centro della storia raccontata da Perla e poi ricostruita sui giornali, assumono diverse connotazioni e alla fine il lettore, pur avendo compreso appieno il senso della vicenda, non riesce a metterne a fuoco i contorni, in una sorta di déjà-vu Pirandelliano in cui l’osservatore oscilla tra più poli: la verità non esiste – esistono più verità – la realtà viene distorta. Assodato che verità e realtà nascono dalla combinazione dei singoli fatti, resta sempre quell’alea per mezzo della quale è possibile fare un’infinità di ulteriori considerazioni e ipotesi. E, si badi, come peraltro bene evidenziato in quest’opera, a nulla vale la percezione diretta: l’indefinito, per quanto dai margini ridotti, persiste, indelebile. Un maturo romanzo d’esordio in cui stile e registri narrativi – estremamente efficaci - rendono l’opera non fine a se stessa – oltre che piacevole – e predispongono il lettore a una riflessione su ciò che è, su ciò che appare e su ciò che alla fine, dopo la decantazione, resta ai posteri.

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