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Arto Paasilinna

L'anno della lepre

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 20-03-2014 da JohnGrady
Aggiornato il 20-03-2014 da JohnGrady
Disponibile in 6 librerie
Inserito il 20-03-2014 da JohnGrady
Aggiornato il 20-03-2014 da JohnGrady
Disponibile in 6 librerie

Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere, nascondendo a se stessi e agli altri che quel grigiore a cui si è arrivati a furia di rinunciare ai sogni, di accettare compromessi, di rassegnarsi al logoramento delle amicizie, del lavoro, degli amori, quel qualcosa in cui siamo rimasti impigliati e in cui non ci riconosciamo, è in realtà la nostra vita. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano. E la sua divertente e paradossale fuga dal passato diventa un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla.

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Noce Moscata

Arto mi fa un effetto agrodolce. Il suo stile è più didascalico dei sottotitoli di un Tg, eppure le storie che racconta sono come le caramelle balsamiche. Le succhi distrattamente, ma alla fine ti pizzica il naso. L'uomo che abbandona la frenetica vita cittadina, preferendole una salubre esistenza silvestre, non sarebbe di per sé neanche un tema particolarmente originale, se non fosse che la semplicità spartana con cui Paasilinna descrive il ritorno alla natura, senza gli estremismi ascetici alla “Into the wild” ringiovanisce lo spirito come una Domenica coi boyscout. “L'anno della lepre” è un libro da pre-vacanza, ma non nel senso della leggerezza. Nel senso della predisposizione a “staccare la spina” con più convinzione. Un depliant dell'Alpitour non potrebbe fare tanto. Anche la lepre, che pur onnipresente, sembra quasi superflua ai fini della storia, alla fine si materializzerà nella vostra testa e non ne uscirà più. P.S. Cara Iperborea, come casa editrice sei uno schianto. Mai che sponsorizzi autori scontati o da vetrina. Solo, per favore, cambia formato. Devo sempre leggere i tuoi libri, tenendoli semichiusi per paura di scollare la rilegatura. E sui ripiani della libreria mi costringi a fare le doppie file. E non è carino nei confronti di chi sta dietro. Intanto nella vita reale: ieri sera sotto casa mia, un gruppetto di adolescenti si divertiva a fare del rap. Bello, sembrava quasi essere nel South Bronx. Peccato solo per le doppie. Sentir cantare “Ganggggstassss Paradddddddaaaaaais” in quel modo è come sentire dei Texani che giocano alla morra. :D

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Editore: Iperborea

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 199

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8870910407

ISBN-13: 9788870910407

Data di pubblicazione: 2007

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Giornalista quarantenne a Helsinki, Vatanen ha raggiunto quel momento dell’esistenza in cui di colpo ci si chiede quel “ma perché” che si è cercato sempre di reprimere, nascondendo a se stessi e agli altri che quel grigiore a cui si è arrivati a furia di rinunciare ai sogni, di accettare compromessi, di rassegnarsi al logoramento delle amicizie, del lavoro, degli amori, quel qualcosa in cui siamo rimasti impigliati e in cui non ci riconosciamo, è in realtà la nostra vita. Una sera, tornando in macchina da un servizio fuori città con un amico fotografo, investe una lepre, che fugge ferita nella campagna. Vatanen scende dall’automobile, la trova, la cura e, sordo ai richiami dell’amico, sparisce con lei nei boschi intorno. Da quel momento inizia il racconto delle svariate, stravaganti, spesso esilaranti peripezie di Vatanen, trasformato in un vagabondo che parte all’avventura, on the road, un wanderer senza fretta e senza meta attraverso la società e la natura, in mezzo alle selvagge foreste del Nord e alle imprevedibili reti della burocrazia, sempre accompagnato dalla sua lepre come irrinunciabile talismano. E la sua divertente e paradossale fuga dal passato diventa un viaggio iniziatico verso la libertà, la scoperta che la vita può essere reinventata ogni momento e che, se la felicità è per natura anarchica e sovversiva, si può anche provare ad avere il coraggio di inseguirla.

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Arto mi fa un effetto agrodolce. Il suo stile è più didascalico dei sottotitoli di un Tg, eppure le storie che racconta sono come le caramelle balsamiche. Le succhi distrattamente, ma alla fine ti pizzica il naso. L'uomo che abbandona la frenetica vita cittadina, preferendole una salubre esistenza silvestre, non sarebbe di per sé neanche un tema particolarmente originale, se non fosse che la semplicità spartana con cui Paasilinna descrive il ritorno alla natura, senza gli estremismi ascetici alla “Into the wild” ringiovanisce lo spirito come una Domenica coi boyscout. “L'anno della lepre” è un libro da pre-vacanza, ma non nel senso della leggerezza. Nel senso della predisposizione a “staccare la spina” con più convinzione. Un depliant dell'Alpitour non potrebbe fare tanto. Anche la lepre, che pur onnipresente, sembra quasi superflua ai fini della storia, alla fine si materializzerà nella vostra testa e non ne uscirà più. P.S. Cara Iperborea, come casa editrice sei uno schianto. Mai che sponsorizzi autori scontati o da vetrina. Solo, per favore, cambia formato. Devo sempre leggere i tuoi libri, tenendoli semichiusi per paura di scollare la rilegatura. E sui ripiani della libreria mi costringi a fare le doppie file. E non è carino nei confronti di chi sta dietro. Intanto nella vita reale: ieri sera sotto casa mia, un gruppetto di adolescenti si divertiva a fare del rap. Bello, sembrava quasi essere nel South Bronx. Peccato solo per le doppie. Sentir cantare “Ganggggstassss Paradddddddaaaaaais” in quel modo è come sentire dei Texani che giocano alla morra. :D

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