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Julie Otsuka

Venivamo tutte per mare

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 07-11-2013 da aledem
Aggiornato il 07-11-2013 da aledem
Disponibile in 3 librerie
Inserito il 07-11-2013 da aledem
Aggiornato il 07-11-2013 da aledem
Disponibile in 3 librerie

"Da anni" ha dichiarato Julie Otsuka, "volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi - le cosiddette "spose in fotografia" che giunsero in America all'inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vita di un "noi" corale, di un intero gruppo di giovani spose". Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall'autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua.

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Recensioni

Michela L.

 Ho acquistato questo libro quasi a scatola chiusa, infatti sapevo solamente che raccontava la storia delle “spose in fotografia”, le donne giapponesi che all'inizio del Novecento partirono alla volta dell’America  per incontrare i loro futuri mariti, uomini che non avevano mai conosciuto e dei quali possedevano solo una fotografia. Poi la sorpresa delle prime pagine, la scoperta di un metodo narrativo particolarissimo e coinvolgente, più che un romanzo sembra una lunga poesia che utilizza tante voci come fossero una sola. Una potente voce corale racconta le speranze e  i timori delle giovani giapponesi che con coraggio e molte aspettative lasciarono la loro casa e la loro terra per andare incontro ad una nuova vita. Partirono perché convinte che ad attenderle ci sarebbe stato un grande amore e una vita meravigliosa, perché erano troppo povere per sopravvivere da sole o perché erano troppo ricche per rimanere nella loro terra, perché avevano un passato da dimenticare e un futuro da costruire. Lasciarono il Giappone per dimenticare un amore impossibile, per rincorrere il principe azzurro conosciuto per corrispondenza, per cercare di dimenticare i figli avuti al di fuori del matrimonio e costrette ad abbandonare,  partirono perché convinte di non avere alternative. Alcune erano impazienti di arrivare e altre non ebbero la forza di concludere il viaggio, alcune partirono incinta e altre concepirono su quella nave. Arrivate in America molte non riconobbero i loro mariti, altre li maledissero per averle sposate con la menzogna e altre ancora pensarono  che sarebbero state amate e avrebbero amato con tutto il cuore. Lavorarono duramente e si ambientarono nella nuova terra mentre altre non impararono neppure la lingua. Poi arrivò la guerra e dopo l’attacco a  Pearl Harbor i giapponesi iniziarono ad essere considerati nemici ed improvvisamente scomparirono tutti, donne, uomini e bambini. Dove? Qualche vicino si pose la domanda senza troppa convinzione, altri pensarono che da traditori erano stati rimpatriati in Giappone, oggi sappiamo che furono deportati nei campi di prigionia sino alla fine della Guerra solo perché avevano la stessa faccia e provenivano dalla stessa terra dei piloti che per primi attaccarono  il suolo americano. Quest’ultima parte viene raccontata non più dalle giapponesi ma dagli americani, gli stessi vicini di casa che non ebbero il coraggio di fare le domande giuste al momento opportuno. Partirono con tante speranze, arrivarono in solitudine e scomparvero nell'indifferenza.

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Editore: Bollati Boringhieri

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 109

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8833971090

ISBN-13: 9788833971094

Data di pubblicazione: 2012

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"Da anni" ha dichiarato Julie Otsuka, "volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi - le cosiddette "spose in fotografia" che giunsero in America all'inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vita di un "noi" corale, di un intero gruppo di giovani spose". Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall'autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua.

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 Ho acquistato questo libro quasi a scatola chiusa, infatti sapevo solamente che raccontava la storia delle “spose in fotografia”, le donne giapponesi che all'inizio del Novecento partirono alla volta dell’America  per incontrare i loro futuri mariti, uomini che non avevano mai conosciuto e dei quali possedevano solo una fotografia. Poi la sorpresa delle prime pagine, la scoperta di un metodo narrativo particolarissimo e coinvolgente, più che un romanzo sembra una lunga poesia che utilizza tante voci come fossero una sola. Una potente voce corale racconta le speranze e  i timori delle giovani giapponesi che con coraggio e molte aspettative lasciarono la loro casa e la loro terra per andare incontro ad una nuova vita. Partirono perché convinte che ad attenderle ci sarebbe stato un grande amore e una vita meravigliosa, perché erano troppo povere per sopravvivere da sole o perché erano troppo ricche per rimanere nella loro terra, perché avevano un passato da dimenticare e un futuro da costruire. Lasciarono il Giappone per dimenticare un amore impossibile, per rincorrere il principe azzurro conosciuto per corrispondenza, per cercare di dimenticare i figli avuti al di fuori del matrimonio e costrette ad abbandonare,  partirono perché convinte di non avere alternative. Alcune erano impazienti di arrivare e altre non ebbero la forza di concludere il viaggio, alcune partirono incinta e altre concepirono su quella nave. Arrivate in America molte non riconobbero i loro mariti, altre li maledissero per averle sposate con la menzogna e altre ancora pensarono  che sarebbero state amate e avrebbero amato con tutto il cuore. Lavorarono duramente e si ambientarono nella nuova terra mentre altre non impararono neppure la lingua. Poi arrivò la guerra e dopo l’attacco a  Pearl Harbor i giapponesi iniziarono ad essere considerati nemici ed improvvisamente scomparirono tutti, donne, uomini e bambini. Dove? Qualche vicino si pose la domanda senza troppa convinzione, altri pensarono che da traditori erano stati rimpatriati in Giappone, oggi sappiamo che furono deportati nei campi di prigionia sino alla fine della Guerra solo perché avevano la stessa faccia e provenivano dalla stessa terra dei piloti che per primi attaccarono  il suolo americano. Quest’ultima parte viene raccontata non più dalle giapponesi ma dagli americani, gli stessi vicini di casa che non ebbero il coraggio di fare le domande giuste al momento opportuno. Partirono con tante speranze, arrivarono in solitudine e scomparvero nell'indifferenza.

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