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Peppino Mereu

Poesias

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 21-01-2019 da LaCasula
Aggiornato il 21-01-2019 da LaCasula
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Laura

Conoscevo Peppino Mereu soltanto di nome e, prima d’ora, non mi ero mai azzardata a leggere niente di suo. Dico azzardata perché quando c’è di mezzo un’altra lingua (e quella sarda, con tutte le sue varianti, rischia di esserlo per davvero, anche se si è sardi ma si è abituati a parlare e a pensare soltanto in italiano) la lettura non è detto che risulti di facile comprensione. Invece, con mia grande meraviglia, ho scoperto che la lingua delle poesie di Mereu non è poi così “altra”, ridestando in me certe parole e coniugazioni di verbi registrate dalla mia memoria in anni ormai lontani in cui ancora avevo occasione di andare di tanto in tanto al paese di mio babbo. E ho scoperto nel contempo un autore a dir poco straordinario. La sua vita fu sfortunata e drammatica: nato nel 1872 a Tonara, piccolo centro della Barbagia, si ritrovò orfano di entrambi i genitori quando era ancora ragazzo e si arruolò volontario nei Reali Carabinieri; a causa di assai precarie condizioni di salute, dopo soli cinque anni fu congedato dall’arma ritornando così al paese natale, dove visse in miseria fino alla morte che lo colse all’età di nemmeno trent’anni all’alba del nuovo secolo. Della sua vasta produzione poetica sopravvive soltanto una sessantina di componimenti; ho letto da qualche parte che, per potersi riscaldare d’inverno, all’occorrenza bruciasse i fogli su cui aveva scritto, fatto che, se vero, aggiunge ulteriore tristezza alla sua già penosa vicenda personale. Sotto l’aspetto formale, quella di Peppino Mereu è una poesia sapientemente curata per metrica e rima. Per quanto riguarda invece i contenuti, è poesia innovativa nell’ambito regionale dell’epoca, marcatamente di denuncia e protesta (del resto, come riconosceva Alda Merini, chi scrive è un cronista del proprio tempo), ironica e irriverente, scandalosa senza mezzi termini, laica e addirittura anticlericale; a tratti sorprendentemente attuale, come nel componimento “A Nanni Sulis (I)”: “Nanneddu meu, / su mund’est gai, / a sicut erat / non torrat mai. / Semus in tempos / de tirannias, infamidades / e carestias. / Como sos populos / cascant che cane, / gridende forte: / «Cherimus pane». ” (“Nanneddu mio, il mondo è così, com’era un tempo non tornerà più. Siamo in tempi di prepotenze, infamie e carestie. Adesso la gente sbadiglia come i cani e grida a gran voce: «Vogliamo pane».”) E ancora: “Avvocadeddos, / laureados, / bussacas buidas, / ispiantados” (“Avvocaticchi e laureati, tutti spiantati, con le tasche vuote”) […] “E gai chi tottus / faghimus gherra, / pro pagas dies / de vida in terra.” (“E così tutti siamo in guerra per pochi giorni di vita in terra.”) Questi versi, in particolare, sono diventati molto popolari grazie alla musica dei Tazenda: http://www.youtube.com/watch?v=95j5xxSasBg Ma Mereu è anche poeta che, con grande profondità d’animo, sa parlare di sentimenti e di quell’amore che tanto ci si affanna a cercare durante l’esistenza e che ci s’illude possa resistere persino al tempo e alla morte. A questo proposito, riporto una delle poesie che più mi hanno colpito, “Dae una losa ismentigada” (“Da una tomba dimenticata”); segue la traduzione, ma faccio presente che la versione italiana non rende del tutto la bellezza di quella in lingua originale: “Dae una losa ismentigada” Non sias ingrata, no, para sos passos, o giovana ch'in vid'hap'istimadu. Lassa sas allegrias e ispassos, pensa chi so inoghe sepultadu. Vermes ischivos si sunt fattos rassos de cuddos ojos chi tantu has miradu. Para, par'un'istante, e tene cura de cust'ismentigada sepoltura. A ti nd'ammentas, cando chi vivia passaimis ridend'oras interas? Como hap'una triste cumpagnia de ossos e de testas cadaveras,1 fin'a mortu mi faghet pauria su tremendu silenzi' 'e sas osseras. E tue non ti dignas un'istante de pensare ch'inogh'has un amante! Ben'a custas osseras, cun anneos, si no est falsu su chi mi giuraist, pensa chi bi sunt sos ossos meos, sos ossos de su corpus ch'istimaist; fattos in pruer, non piùs intreos comente cand'a biu l'abbrazzaist. Non piùs agatas sas formas antigas, ca so pastu de vermes e formigas. Bae, ma cando ses dormind’a lettu una ’oghe ti dêt benner in su bentu, su coro t’hat a tremer in su pettu a’ cussa trista boghe de lamentu chi t’hat a narrer custu fit s’affettu, custu fit su solenne giuramentu? Inoghe non ti firmas, lestra passas e a’ custa trista rughe non t’abbassas. Cando passas inoghe pass’umile; t’imponzat custa pedra su rispettu, ca so mortu pro te anima vile, privu de isperanza e de affettu. Da-e custa fritta losa unu gentile fiore sega e ponendil’in pettu, pro ch’ammentes comente t’hap’amadu, già chi tue ti l’has ismentigadu. Camposanto di Cagliari, 2 novembre 1891 “Da una tomba dimenticata” Non essere ingrata, no, fermati, o giovane che da vivo ho amato. Lascia le gioie e i divertimenti, pensa che io sono sepolto qui. Vermi schifosi si sono ingrassati con quegli occhi che tu hai tanto ammirato. Fermati, fermati un momento, ed abbi cura di questa sepoltura dimenticata. Ricordi, quando ero in vita, trascorrevamo ridendo intere ore? Adesso ho una triste compagnia di ossa e di teschi; anche da morto mi fa paura il tremendo silenzio dell’ossario. E tu non ti degni un attimo di pensare che qui hai un amante! Accostati a questo ossario, con dolore, se non è falso ciò che mi giuravi, pensa che ci sono le mie ossa, le ossa di quel corpo che amavi; ridotte in polvere, non più intere, come quando da vivo lo abbracciavi. Non trovi più le antiche forme, perché sono pasto di vermi e di formiche. Va’, ma mentre giaci nel tuo letto, una voce ti giungerà nel vento, il cuor ti tremerà in petto per questa voce triste di lamento, che ti dirà: questo fu l’amore? questo fu il tuo solenne giuramento? Qui non ti fermi, passi lesta e non ti chini verso questa triste croce. Quando passi qui, sii umile; questa croce t’imponga il rispetto perché sono morto per te, anima vile, privo di speranza e di affetto. Da questa fredda tomba un gentile fiore cogli e posalo sul petto, per ricordarti come ti ho amato, poichè l’hai dimenticato. (Peppino Mereu)

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Editore: La Nuova Sardegna / Euromeeting Italiana

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 219

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8496142752

ISBN-13: 9788496142756

Data di pubblicazione: 2003

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La sua vita fu sfortunata e drammatica: nato nel 1872 a Tonara, piccolo centro della Barbagia, si ritrovò orfano di entrambi i genitori quando era ancora ragazzo e si arruolò volontario nei Reali Carabinieri; a causa di assai precarie condizioni di salute, dopo soli cinque anni fu congedato dall’arma ritornando così al paese natale, dove visse in miseria fino alla morte che lo colse all’età di nemmeno trent’anni all’alba del nuovo secolo. Della sua vasta produzione poetica sopravvive soltanto una sessantina di componimenti; ho letto da qualche parte che, per potersi riscaldare d’inverno, all’occorrenza bruciasse i fogli su cui aveva scritto, fatto che, se vero, aggiunge ulteriore tristezza alla sua già penosa vicenda personale. Sotto l’aspetto formale, quella di Peppino Mereu è una poesia sapientemente curata per metrica e rima. Per quanto riguarda invece i contenuti, è poesia innovativa nell’ambito regionale dell’epoca, marcatamente di denuncia e protesta (del resto, come riconosceva Alda Merini, chi scrive è un cronista del proprio tempo), ironica e irriverente, scandalosa senza mezzi termini, laica e addirittura anticlericale; a tratti sorprendentemente attuale, come nel componimento “A Nanni Sulis (I)”: “Nanneddu meu, / su mund’est gai, / a sicut erat / non torrat mai. / Semus in tempos / de tirannias, infamidades / e carestias. / Como sos populos / cascant che cane, / gridende forte: / «Cherimus pane». ” (“Nanneddu mio, il mondo è così, com’era un tempo non tornerà più. Siamo in tempi di prepotenze, infamie e carestie. Adesso la gente sbadiglia come i cani e grida a gran voce: «Vogliamo pane».”) E ancora: “Avvocadeddos, / laureados, / bussacas buidas, / ispiantados” (“Avvocaticchi e laureati, tutti spiantati, con le tasche vuote”) […] “E gai chi tottus / faghimus gherra, / pro pagas dies / de vida in terra.” (“E così tutti siamo in guerra per pochi giorni di vita in terra.”) Questi versi, in particolare, sono diventati molto popolari grazie alla musica dei Tazenda: http://www.youtube.com/watch?v=95j5xxSasBg Ma Mereu è anche poeta che, con grande profondità d’animo, sa parlare di sentimenti e di quell’amore che tanto ci si affanna a cercare durante l’esistenza e che ci s’illude possa resistere persino al tempo e alla morte. A questo proposito, riporto una delle poesie che più mi hanno colpito, “Dae una losa ismentigada” (“Da una tomba dimenticata”); segue la traduzione, ma faccio presente che la versione italiana non rende del tutto la bellezza di quella in lingua originale: “Dae una losa ismentigada” Non sias ingrata, no, para sos passos, o giovana ch'in vid'hap'istimadu. Lassa sas allegrias e ispassos, pensa chi so inoghe sepultadu. Vermes ischivos si sunt fattos rassos de cuddos ojos chi tantu has miradu. Para, par'un'istante, e tene cura de cust'ismentigada sepoltura. A ti nd'ammentas, cando chi vivia passaimis ridend'oras interas? Como hap'una triste cumpagnia de ossos e de testas cadaveras,1 fin'a mortu mi faghet pauria su tremendu silenzi' 'e sas osseras. E tue non ti dignas un'istante de pensare ch'inogh'has un amante! Ben'a custas osseras, cun anneos, si no est falsu su chi mi giuraist, pensa chi bi sunt sos ossos meos, sos ossos de su corpus ch'istimaist; fattos in pruer, non piùs intreos comente cand'a biu l'abbrazzaist. Non piùs agatas sas formas antigas, ca so pastu de vermes e formigas. Bae, ma cando ses dormind’a lettu una ’oghe ti dêt benner in su bentu, su coro t’hat a tremer in su pettu a’ cussa trista boghe de lamentu chi t’hat a narrer custu fit s’affettu, custu fit su solenne giuramentu? Inoghe non ti firmas, lestra passas e a’ custa trista rughe non t’abbassas. Cando passas inoghe pass’umile; t’imponzat custa pedra su rispettu, ca so mortu pro te anima vile, privu de isperanza e de affettu. Da-e custa fritta losa unu gentile fiore sega e ponendil’in pettu, pro ch’ammentes comente t’hap’amadu, già chi tue ti l’has ismentigadu. Camposanto di Cagliari, 2 novembre 1891 “Da una tomba dimenticata” Non essere ingrata, no, fermati, o giovane che da vivo ho amato. Lascia le gioie e i divertimenti, pensa che io sono sepolto qui. Vermi schifosi si sono ingrassati con quegli occhi che tu hai tanto ammirato. Fermati, fermati un momento, ed abbi cura di questa sepoltura dimenticata. Ricordi, quando ero in vita, trascorrevamo ridendo intere ore? Adesso ho una triste compagnia di ossa e di teschi; anche da morto mi fa paura il tremendo silenzio dell’ossario. E tu non ti degni un attimo di pensare che qui hai un amante! Accostati a questo ossario, con dolore, se non è falso ciò che mi giuravi, pensa che ci sono le mie ossa, le ossa di quel corpo che amavi; ridotte in polvere, non più intere, come quando da vivo lo abbracciavi. Non trovi più le antiche forme, perché sono pasto di vermi e di formiche. Va’, ma mentre giaci nel tuo letto, una voce ti giungerà nel vento, il cuor ti tremerà in petto per questa voce triste di lamento, che ti dirà: questo fu l’amore? questo fu il tuo solenne giuramento? Qui non ti fermi, passi lesta e non ti chini verso questa triste croce. Quando passi qui, sii umile; questa croce t’imponga il rispetto perché sono morto per te, anima vile, privo di speranza e di affetto. Da questa fredda tomba un gentile fiore cogli e posalo sul petto, per ricordarti come ti ho amato, poichè l’hai dimenticato. (Peppino Mereu)

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