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Giorgio Meletti

Nel paese dei Moratti

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 17-11-2013 da Antonella
Aggiornato il 17-11-2013 da Antonella
Disponibile in 13 librerie
Inserito il 17-11-2013 da Antonella
Aggiornato il 17-11-2013 da Antonella
Disponibile in 13 librerie

26 maggio 2009. Mentre a Milano il presidente dell'Inter Massimo Moratti segue con apprensione i capricci dell'allenatore Mourinho e suo fratello Gianmarco tratta un prestito milionario con Banca Intesa, a Sarroch, in Sardegna, Daniele Melis, ventinove anni, Luigi Solinas, ventisette, Bruno Muntoni, cinquantotto, si preparano a entrare in una cisterna per lavori di pulizia e manutenzione. Giornate molto diverse. Ma in un tragico istante diventano una cosa sola. I tre operai lavorano e muoiono alla Saras, la raffineria creata negli anni Sessanta da Angelo Moratti.
Con passione e intelligenza narrativa, Giorgio Meletti attraversa i giorni e le ore in cui si consumano i fatti e racconta gli affari dei Moratti, i dividendi della raffineria (120 milioni di euro all'anno negli ultimi cinque anni), la quotazione in Borsa della Saras a un prezzo così alto da far scattare un'inchiesta giudiziaria, le perdite dell'Inter (circa 150 milioni di euro all'anno). Ma i protagonisti di quelle ore non sono solo i fratelli Moratti. Basta spostare appena un po' l'obiettivo. C'è l'amico di sempre Tronchetti Provera e lo spolpamento di Telecom, Marchionne che promette tranquillità agli operai di Termini Imerese, le grandi banche all'inseguimento dei crac finanziari. L'assenza di Epifani. Tutto concentrato in poche ore, che compongono la fotografia del capitalismo italiano.
La Sardegna come simbolo di una nazione da colonizzare. L'immagine che esce è quella di un'oligarchia asserragliata a difendere i privilegi acquisiti, di un paese vecchio. A pagare sono sempre gli ultimi. I lavoratori e i cittadini prigionieri nella loro terra.

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Chiara

È il 26 maggio 2009 quando tre operai impegnati nella fermata di primavera negli stabilimenti della Saras a Sarroch, nel sud Sardegna, a pochi chilometri da Cagliari, restano uccisi all'interno di una cisterna satura d'azoto. Una notizia alla quale siamo purtroppo abituati in Italia e forse è anche per questo che non ottiene la giusta risonanza, non almeno come l'incidente alla ThyssenKrupp di Torino. O è una forma di razzismo, come vuole suggerirci l'autore? O meglio ancora, la conseguenza di quel capitalismo coloniale che ci racconta nelle pagine di questo racconto di tre morti bianche e dei giochi di potere economico-finanziario che si muovono sopra le teste dei cittadini di Sarroch. Mentre ripercorriamo le ultime ore di vita dei tre operai, assistiamo anche ad una serie di operazioni che con questa piccola porzione della Sardegna sembrano non avere nulla a che fare. Vediamo Massimo Moratti impegnato ad ottenere un prolungamento del contratto di Mourinho all'Inter e suo fratello Gianmarco prodigarsi a concludere un accordo con Banca Intesa. Sono i giorni del Naomigate, giorni in cui l'equilibrio delle grandi banche è messo in crisi e ci si affanna disperatamente a salvare dalla bancarotta personaggi quali Romain Camille Zaleski, finanziere francese di origine polacca, che riesce ad ottenere grossi prestiti senza garanzie, perchè considerato “too big to fail”, mentre dall'altra parte vengono lasciati andare a fondo i piccoli imprenditori, che scelgono, nella loro solitudine, il suicidio al fallimento. Non possono mancare Tronchetti Provera e lo spolpamento di Telecom Italia, che hanno condannato al licenziamento migliaia di lavoratori e portato loro in tasca miliardi frutto di speculazioni, Marchionne e la Fiat, che sancisce la chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese, mentre Lapo Elkann tiene lectio magistralis sul cosa significhi essere uno come Lapo Elkann, imprenditore, tassello fondamentale dell'economia italiana, solo per diritto di nascita. Questi sono, secondo Meletti, tutti esempi di capitalismo coloniale, che ha reso città e territori circostanti, ma talvolta l'intera nazione come nel caso Telecom, schiave del volere di chi si è impadronito dei loro terreni, distruggendo le economie locali alternative, con la promessa di posti di lavori sicuri fino a che il margine di profitto fosse rimasto interessante per i padroni, impedendo di fatto uno sviluppo autonomo del territorio e delle comunità. È lo stesso schema applicato in età coloniale dalla Compagnie delle Indie. Questo sistema sfrutta e si appoggia sull'altro problema fondamentale che va a braccetto con la sicurezza e gli incidenti sul lavoro: il precariato. Due dei tre operai, infatti, lavoravano per ditte che fornivano in subappalto lavoro per le operazioni straordinarie. Operai precari, sottopagati, senza alcun tipo di formazione. Carne da macello. All'indomani della tragedia non una parola dalla Cgil nazionale, il cordoglio della famiglia Moratti, le cifre proclamate riguardo gli investimenti in sicurezza (comunque inferiori allo stipendio di Julio Cesar, portiere dell'Inter), le posizioni della Marcegaglia, non estranea agli incidenti sul lavoro, le parole del Presidente della Regione Sardegna Ugo Capellacci. Tutte mosse di circostanza. Un'indignazione temporanea. Il bruciore che si sente e che Meletti ci descrive, ricorrendo anche alle parole lasciate su Facebook dai colleghi e amici dei tre lavoratori, è rabbia. Gli oltre 800 milioni di debiti dell'Inter, lo stipendio d'oro dei Moratti, le speculazioni borsistiche delle azioni Saras gonfiate fino a 6 euro di valore di vendita e sgonfiatesi subito dopo al loro valore reale di 1,5 euro, con enormi guadagni per la famiglia Moratti messi in cassaforte “per il business di famiglia” come loro dichiarano, si muovono sopra le vite dei giovani sarrochesi divisi tra chi nutre un odio sfrenato e chi con cautela critica ma non può ribellarsi contro quell'unica fonte di sostentamento. È un rapporto di amore ed odio quello che li lega alla Saras. Da una parte ci si sente figli coccolati, cresciuti sotto l'ombra dei bruciatori della raffineria più grande del Mediterraneo, dall'altra si rimpiangono quegli 800 ettari di costa strappati al turismo, alla pesca, all'agricoltura, alla pastorizia. Crea divisioni tra poveri: i privilegiati dipendenti della Saras con elmetti da 50 euro e i precari delle imprese appaltatrici a cui sono concessi quelli da 20 euro e i rischi peggiori. Le alternative sono negate perché il capitalismo coloniale ha fatto terra bruciata intorno a sé, ha strappato tutto a questa terra comprese le giovani vite di operai che sognavano un futuro migliore, normale, fatto di famiglia, lavoro, sacrifici. Sul Golfo degli Angeli intanto continuano le nuvole di fumo, le rosse fiamme in lontananza, la Saras si staglia all'orizzonte con alle spalle un mare malato di petrolio, dove i fenicotteri rosa paiono trovar naturale quella presenza ingombrante. Altrove si festeggiano le vittorie di Mourinho, Massimo Moratti può finalmente riconsegnare alla sua Milano la squadra che il padre Angelo rese indimenticabile.

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Editore: Chiarelettere

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 256

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8861901182

ISBN-13: 9788861901186

Data di pubblicazione: 2010

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Con passione e intelligenza narrativa, Giorgio Meletti attraversa i giorni e le ore in cui si consumano i fatti e racconta gli affari dei Moratti, i dividendi della raffineria (120 milioni di euro all'anno negli ultimi cinque anni), la quotazione in Borsa della Saras a un prezzo così alto da far scattare un'inchiesta giudiziaria, le perdite dell'Inter (circa 150 milioni di euro all'anno). Ma i protagonisti di quelle ore non sono solo i fratelli Moratti. Basta spostare appena un po' l'obiettivo. C'è l'amico di sempre Tronchetti Provera e lo spolpamento di Telecom, Marchionne che promette tranquillità agli operai di Termini Imerese, le grandi banche all'inseguimento dei crac finanziari. L'assenza di Epifani. Tutto concentrato in poche ore, che compongono la fotografia del capitalismo italiano.
La Sardegna come simbolo di una nazione da colonizzare. L'immagine che esce è quella di un'oligarchia asserragliata a difendere i privilegi acquisiti, di un paese vecchio. A pagare sono sempre gli ultimi. I lavoratori e i cittadini prigionieri nella loro terra.

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Vediamo Massimo Moratti impegnato ad ottenere un prolungamento del contratto di Mourinho all'Inter e suo fratello Gianmarco prodigarsi a concludere un accordo con Banca Intesa. Sono i giorni del Naomigate, giorni in cui l'equilibrio delle grandi banche è messo in crisi e ci si affanna disperatamente a salvare dalla bancarotta personaggi quali Romain Camille Zaleski, finanziere francese di origine polacca, che riesce ad ottenere grossi prestiti senza garanzie, perchè considerato “too big to fail”, mentre dall'altra parte vengono lasciati andare a fondo i piccoli imprenditori, che scelgono, nella loro solitudine, il suicidio al fallimento. Non possono mancare Tronchetti Provera e lo spolpamento di Telecom Italia, che hanno condannato al licenziamento migliaia di lavoratori e portato loro in tasca miliardi frutto di speculazioni, Marchionne e la Fiat, che sancisce la chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese, mentre Lapo Elkann tiene lectio magistralis sul cosa significhi essere uno come Lapo Elkann, imprenditore, tassello fondamentale dell'economia italiana, solo per diritto di nascita. Questi sono, secondo Meletti, tutti esempi di capitalismo coloniale, che ha reso città e territori circostanti, ma talvolta l'intera nazione come nel caso Telecom, schiave del volere di chi si è impadronito dei loro terreni, distruggendo le economie locali alternative, con la promessa di posti di lavori sicuri fino a che il margine di profitto fosse rimasto interessante per i padroni, impedendo di fatto uno sviluppo autonomo del territorio e delle comunità. È lo stesso schema applicato in età coloniale dalla Compagnie delle Indie. Questo sistema sfrutta e si appoggia sull'altro problema fondamentale che va a braccetto con la sicurezza e gli incidenti sul lavoro: il precariato. Due dei tre operai, infatti, lavoravano per ditte che fornivano in subappalto lavoro per le operazioni straordinarie. Operai precari, sottopagati, senza alcun tipo di formazione. Carne da macello. All'indomani della tragedia non una parola dalla Cgil nazionale, il cordoglio della famiglia Moratti, le cifre proclamate riguardo gli investimenti in sicurezza (comunque inferiori allo stipendio di Julio Cesar, portiere dell'Inter), le posizioni della Marcegaglia, non estranea agli incidenti sul lavoro, le parole del Presidente della Regione Sardegna Ugo Capellacci. Tutte mosse di circostanza. Un'indignazione temporanea. Il bruciore che si sente e che Meletti ci descrive, ricorrendo anche alle parole lasciate su Facebook dai colleghi e amici dei tre lavoratori, è rabbia. Gli oltre 800 milioni di debiti dell'Inter, lo stipendio d'oro dei Moratti, le speculazioni borsistiche delle azioni Saras gonfiate fino a 6 euro di valore di vendita e sgonfiatesi subito dopo al loro valore reale di 1,5 euro, con enormi guadagni per la famiglia Moratti messi in cassaforte “per il business di famiglia” come loro dichiarano, si muovono sopra le vite dei giovani sarrochesi divisi tra chi nutre un odio sfrenato e chi con cautela critica ma non può ribellarsi contro quell'unica fonte di sostentamento. È un rapporto di amore ed odio quello che li lega alla Saras. Da una parte ci si sente figli coccolati, cresciuti sotto l'ombra dei bruciatori della raffineria più grande del Mediterraneo, dall'altra si rimpiangono quegli 800 ettari di costa strappati al turismo, alla pesca, all'agricoltura, alla pastorizia. Crea divisioni tra poveri: i privilegiati dipendenti della Saras con elmetti da 50 euro e i precari delle imprese appaltatrici a cui sono concessi quelli da 20 euro e i rischi peggiori. Le alternative sono negate perché il capitalismo coloniale ha fatto terra bruciata intorno a sé, ha strappato tutto a questa terra comprese le giovani vite di operai che sognavano un futuro migliore, normale, fatto di famiglia, lavoro, sacrifici. Sul Golfo degli Angeli intanto continuano le nuvole di fumo, le rosse fiamme in lontananza, la Saras si staglia all'orizzonte con alle spalle un mare malato di petrolio, dove i fenicotteri rosa paiono trovar naturale quella presenza ingombrante. Altrove si festeggiano le vittorie di Mourinho, Massimo Moratti può finalmente riconsegnare alla sua Milano la squadra che il padre Angelo rese indimenticabile.

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