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Fedor M. Dostoevskij

Le notti bianche

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 5 librerie
Inserito il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Aggiornato il 30-01-2014 da Alberto Rossi
Disponibile in 5 librerie

Il tema del 'sognatore romantico', dell'eroe solitario che - come l'"anima bella" schilleriana che vive nel regno dell'ideale e dell'utopia estetica più astratta - trascorre i suoi giorni immerso nella dimensione del sogno, in un paradiso di illusioni, malinconicamente sofferente e lontano dall'incolore e consueta realtà dell'esistenza quotidiana, percorre come un filo di Arianna questo racconto. In una notte bianca, crudelmente reale, passeggiando solitario l'eroe del racconto incontra sul lungofiume una ragazza che risveglia in lui il sentimento dell'amore - il simbolo della temuta vita reale -, e coraggiosamente egli decide di fuggire dal regno dei sogni, e delle fantasticherie in cui trascorre i suoi giorni, aprendosi alla vita. Ma quando la ragazza gli rivela di amare un altro, la sua speranza svanisce, annullata dalla crudele vendetta del destino, ricacciata nella dimensione del sogno, a un tempo capace di dare felicità e sofferenza. Un regno delle illusioni che è anche metaforicamente simbolo del male.
Con un saggio di André Gide e con un'introduzione di Giovanna Spendel.

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Recensioni

Alberto Rossi

Sembra non avere forma Le notti bianche. Nella storia di due infelici che non hanno storia e che vivono vite surreali (ante-litteram) e anche un po' K.-iane (ante-litteram), e vedasi a tal proposito la diurna di lei, costretta legata alla nonna cieca, tutto sembra così assurdamente distante. Non c'è nulla che vada bene nelle due vite eppure la parvenza non è nemmanco quella di due personaggi tragici, perché tanto è piatta la loro esistenza di attese e solitudini che riesce difficile capire perché, allora, si possa provare dolore per loro. La risposta semplice, ma tautologica e con un rapporto causa/effetto tutto da definire, sarebbe: perché l'ha scritto Dostoevskij, caro mio, che saprebbe rendere tragico e spirituale anche il Muppet Show. E già me l'immagino la rana [inserire nome che non ricordo] e il [inserire animale indecifrabile] [inserire nome che non ricordo] nei loro effluvi di coscienze umiliate, tristi, solitarie e in cerca di redenzione: "Ah, ho ucciso la maiala pensando di far del bene, mi credevo un Napoleone che non sono, sono solo una stronza rana." Cose così. La risposta complessa è quella che mi piace di più, ma necessita di una premessa: io soffro d'insonnia. Tremendamente. Quello stronzetto di Emil Cioran, nel suo vulcano di aforismi da stronzetto (quale d'altronde era), amava ripetere: "Le notti in cui abbiamo dormito è come se non fossero mai esistite. Restano nella memoria solo quelle in cui non abbiamo chiuso occhio: notte vuol dire notte insonne." Ecco da dove deriva il dolore di questo scarno romanzo: per la prima volta nella mia vita delle parole sono riuscite a trasmettermi il senso dell'insonnia: non lo stesso nervosismo che essa suscita, non lo stesso opprimente senso di stanchezza, quelli presumo siano intrasmissibili e possono solo essere provati sulla pelle; ma la stessa vaghezza, quella strana sensazione per cui ogni cosa sembra sfumata ed impenetrabile e quando tenti di ricordare quel che hai fatto solo immagini vaghe come le stelle dell'orsa risalgono alla mente. Il tempo e lo spazio si fanno gassosi e si disperdono nell'aria. Guardate qua come non si intuisce un cazzo di quello che volevo trasmettere. Ma io non mi chiamo Fëdor Michajlovič, non so rendere emozione e turbamento ogni mia parola. E allora leggetevi 'sto libercolo, ci mettete due ore. E capirete.

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Editore: Mondadori

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 105

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8804516046

ISBN-13: 9788804516040

Data di pubblicazione: 1993

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Il tema del 'sognatore romantico', dell'eroe solitario che - come l'"anima bella" schilleriana che vive nel regno dell'ideale e dell'utopia estetica più astratta - trascorre i suoi giorni immerso nella dimensione del sogno, in un paradiso di illusioni, malinconicamente sofferente e lontano dall'incolore e consueta realtà dell'esistenza quotidiana, percorre come un filo di Arianna questo racconto. In una notte bianca, crudelmente reale, passeggiando solitario l'eroe del racconto incontra sul lungofiume una ragazza che risveglia in lui il sentimento dell'amore - il simbolo della temuta vita reale -, e coraggiosamente egli decide di fuggire dal regno dei sogni, e delle fantasticherie in cui trascorre i suoi giorni, aprendosi alla vita. Ma quando la ragazza gli rivela di amare un altro, la sua speranza svanisce, annullata dalla crudele vendetta del destino, ricacciata nella dimensione del sogno, a un tempo capace di dare felicità e sofferenza. Un regno delle illusioni che è anche metaforicamente simbolo del male.
Con un saggio di André Gide e con un'introduzione di Giovanna Spendel.

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Sembra non avere forma Le notti bianche. Nella storia di due infelici che non hanno storia e che vivono vite surreali (ante-litteram) e anche un po' K.-iane (ante-litteram), e vedasi a tal proposito la diurna di lei, costretta legata alla nonna cieca, tutto sembra così assurdamente distante. Non c'è nulla che vada bene nelle due vite eppure la parvenza non è nemmanco quella di due personaggi tragici, perché tanto è piatta la loro esistenza di attese e solitudini che riesce difficile capire perché, allora, si possa provare dolore per loro. La risposta semplice, ma tautologica e con un rapporto causa/effetto tutto da definire, sarebbe: perché l'ha scritto Dostoevskij, caro mio, che saprebbe rendere tragico e spirituale anche il Muppet Show. E già me l'immagino la rana [inserire nome che non ricordo] e il [inserire animale indecifrabile] [inserire nome che non ricordo] nei loro effluvi di coscienze umiliate, tristi, solitarie e in cerca di redenzione: "Ah, ho ucciso la maiala pensando di far del bene, mi credevo un Napoleone che non sono, sono solo una stronza rana." Cose così. La risposta complessa è quella che mi piace di più, ma necessita di una premessa: io soffro d'insonnia. Tremendamente. Quello stronzetto di Emil Cioran, nel suo vulcano di aforismi da stronzetto (quale d'altronde era), amava ripetere: "Le notti in cui abbiamo dormito è come se non fossero mai esistite. Restano nella memoria solo quelle in cui non abbiamo chiuso occhio: notte vuol dire notte insonne." Ecco da dove deriva il dolore di questo scarno romanzo: per la prima volta nella mia vita delle parole sono riuscite a trasmettermi il senso dell'insonnia: non lo stesso nervosismo che essa suscita, non lo stesso opprimente senso di stanchezza, quelli presumo siano intrasmissibili e possono solo essere provati sulla pelle; ma la stessa vaghezza, quella strana sensazione per cui ogni cosa sembra sfumata ed impenetrabile e quando tenti di ricordare quel che hai fatto solo immagini vaghe come le stelle dell'orsa risalgono alla mente. Il tempo e lo spazio si fanno gassosi e si disperdono nell'aria. Guardate qua come non si intuisce un cazzo di quello che volevo trasmettere. Ma io non mi chiamo Fëdor Michajlovič, non so rendere emozione e turbamento ogni mia parola. E allora leggetevi 'sto libercolo, ci mettete due ore. E capirete.

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