"C’è un freddo straordinario, 18 gradi Celsius sotto zero, e nevica, e nella lingua che non è più la mia la neve è qanik, grossi cristalli quasi senza peso che cadono in grande quantità e coprono la terra con uno strato di bianco gelo polverizzato" - inizia così questo suggestivo e malinconico romanzo, che potrebbe essere un giallo senza esserlo fino in fondo, ma che soprattutto è un lirico omaggio al freddo, alle nevi di territori ostili all’uomo, a una civiltà in via di estinzione. La vicenda ruota intorno a un personaggio femminile, Smilla, avvolto nella solitudine e nello sradicamento; per metà danese e per metà inuit, Smilla conosce almeno dieci modi per dire "neve". Ma non solo: come altri possiedono il senso di Dio, lei possiede uno speciale senso per la neve. Ed è per questo che la tragica caduta del piccolo Esajas da un tetto innevato non può apparire come un banale incidente a chi conosce a fondo l’elemento e come le impronte vi lascino i loro solchi. Mentre Copenhagen si prepara per il Natale, Smilla comincia un’indagine ai confini del mondo, alla ricerca di una verità nascosta forse sotto la calotta polare.